di Jeffrey D. Sachs. La terrificante epidemia di Ebola in Africa occidentale impone di dare unarisposta immediata per fermarne la diffusione e di ripensare ad alcuni concetti di base sulla sanità pubblica globale. Viviamo in un’epoca di malattie infettive che appaiono, ricompaiono e riescono a diffondersi rapidamente.
Di conseguenza, abbiamo bisogno di un sistema globale di monitoraggio delle malattie commisurato a questa realtà. Per fortuna, se investiremo in maniera adeguata, un sistema di questo tipo è a portata di mano. Quella dell’Ebola è l’ultima di molte epidemie dilagate di recente, tra le quali Aids, Sars, influenze H1N1 e H7N9 e altre.
È indispensabile comprendere quattro fatti. Primo: la maggiorparte delle malattie infettive sonooriginarie della popolazione animale, caratterizzate da mutazioni genetiche che consentono di infettare gli esseri umani. L’Ebola può essere stato trasmesso dai pipistrelli. Secondo: una volta comparsa una nuova malattia infettiva, si diffonde tramite aerei, navi, megalopoli e il commercio di prodotti animali è rapido. Queste malattie epidemiche sonoi nuovi marker della globalizzazione. Terzo: i poveri sono i primi a esserne colpiti e sono coloro che ne soffronoin modopiù grave. Infine, gli interventi medici necessari fatalmente non stanno al passo col dilagare delle epidemie.
Il mondo è pronto per l’Ebola, per una nuova influenza letale, o di altri agenti patogeni ancora? La risposta è negativa. Anche se dopo il 2000 gli investimenti nella sanità pubblica sono aumentati, portando a successi nella lotta ad Aids, tubercolosi e malaria, nella spesa globale per la sanità si è registrato un crollo considerevole rispetto alle necessità. I Paesi donatori, non riuscendo ad anticipare o a rispondere alle nuove sfide, hanno imposto all’Organizzazione mondiale della sanità una decurtazione di bilancio, mentre i finanziamenti per il Fondo globale per la lotta ad Aids, tubercolosi e malaria non sono riusciti ad assicurare le cifre necessarie a vincere la guerra contro queste malattie.
Ecco ciò che occorre fare. Primo: Usa, Ue, Paesi del Golfo e gli Stati dell’Asia orientale dovrebbero dar subito vita a un fondo flessibile posto sotto la leadership dell’Oms per combattere l’epidemia di Ebola in corso, allocando in un primo tempo almeno 50-100 milioni di dollari, in attesa di sviluppi. Ciò consentirebbe di fornire una risposta sanitaria adeguata in tempi brevi.
Secondo: i Paesi donatori dovrebbero aumentare il bilancio e il mandato del Fondo globale, così che diventi un fondo globale per i Paesi a basso reddito. Obiettivo potrebbeessere quello di aiutare i Paesi più poveri a dar vita a strutture e reti di sanità pubblica in ogni baraccopoli e comunità rurali, concetto riassumibile nella definizione di Copertura sanitaria universale (Universal Health Coverage, UHC). Le zone dove sarebbe necessario intervenire con urgenza si trovano nell’Africa sub-sahariana e nell’Asia meridionale, cioè dove le condizioni sanitarie e la povertà sono peggiori e dove malattie infettive prevenibili ecurabili continuano a diffondersi. Queste regioni dovrebbero schierare una nuova leva di operatori della sanità, in grado di riconoscere i sintomi delle malattie, assicurare unmonitoraggio, fornire diagnosi e cure. Con una spesa di 5 miliardi di dollari l’anno sarebbe possibile garantire che in ogni comunità africana siano presenti operatori preparati, per garantire interventi salvavita. I Paesi ad alto reddito devono investire nel controllo della diffusione globale delle malattie, nelle capacità di intervento dell’Oms e nella ricerca di soluzioni salvavita. Malgrado gli esigui bilanci nazionali, sarebbe da irresponsabili mettere la nostra sopravvivenza sul ceppo del boia fiscale.
17 ago 2014 – Il Sole 24 Ore