Il primo a dire che non ci sono buone notizie, che il Pil ballerà ancora attorno allo zero per alcuni mesi, che addirittura gli effetti dei tagli in arrivo potrebbero essere depressivi per l’economia è lui stesso, Matteo Renzi, che oggi riceverà dai suoi ministri le ipotesi di risparmio dicastero per dicastero, secondo la soglia del 3% del budget fissata nell’ultima riunione del governo.
Ieri è stato l’ultimo bollettino della Banca centrale europea ad aggiungere un pizzico di pessimismo, avanzando il dubbio sulla capacità dell’Italia di rispettare l’impegno a mantenere entro il 2,6% il rapporto fra deficit e Pil. Renzi ha più volte rassicurato Draghi sul raggiungimento dell’obiettivo del 3%, ma se l’economia non si riprende, come del resto ha rimarcato ieri anche il governatore della Banca d’Italia, se gli investimenti e la domanda aggregata continuano ad essere in tutta Europa «al di sotto delle precedenti esperienze», come dice Visco, allora il rischio che il governo non riesca a centrare gli obiettivi che si è prefissato diventano più reali.
Ai piani alti del governo le difficoltà del momento vengono classificate in quest’ordine, in modo ufficioso: «La cosa più importante è sicuramente il Jobs act, la riforma del lavoro, che al momento appare bloccata in Parlamento. È la patente di guida di Renzi, se riuscirà ad imporla al suo partito, a trovare una sintesi sulla delega che è in discussione, allora dimostrerà ai mercati e a Bruxelles che fa sul serio e che può guidare bene questo Paese».
Ieri sulla riforma Renzi ha fatto il punto fra gli altri con il ministro Giuliano Poletti e Filippo Taddei, responsabile economico del Pd, ma il problema non è solo il merito ma anche il timing: una buona delega sulla riforma del lavoro approvata dal Parlamento prima della legge di Stabilità permetterebbe a Palazzo Chigi di gestire i conti pubblici con meno ansia; sia a Bruxelles che a Francoforte infatti la prima richiesta che è sempre stata fatta a questo governo è di riformare il mercato del lavoro, in cambio potrebbe arrivare quel minimo di flessibilità fiscale che finora le autorità europee ci hanno sempre negato.
Oltre al nodo delle tutele crescenti, di un contratto secondo il modello tedesco che non piace ad una fetta del Pd, Renzi nei prossimi giorni dovrà trovare una sintesi anche sui tagli. Nel governo ammettono che il lavoro di Cottarelli non è stato digerito da tutti, che le riunioni di questi giorni fra il capo del governo e titolari dei diversi ministeri servono proprio a creare una condivisione. E forse, aggiunge una fonte con una punta di malizia, anche a ripetere uno spartito che non è proprio innovativo: «Vedrete che alla fine i tagli maggiori arriveranno dai ministeri, dunque dall’amministrazione centrale e non da quelle periferiche, è più facile».
C’è poi un problema che riguarda qualsiasi provvedimento e ogni materia: l’attuazione. La riforma della Madia, si discute già a Palazzo Chigi, avrà bisogno di essere migliorata e resa più incisiva, ma soprattutto «attuata»; al momento è una delega, contro cui la Pa, è questo un timore diffuso, potrà fare la resistenza che altre volte è stata esercitata contro provvedimenti non graditi.
Insomma di grane, pensieri e difficoltà il presidente del Consiglio non è sprovvisto e forse anche per questo ieri stava lavorando a chiudere quella che può essere considerata come una mini riforma di Palazzo Chigi in stile Downing Street, una maggiore strutturazione della squadra e dei consulenti economici che lavorano per l’esecutivo, un rafforzamento che potrebbe essere annunciato già oggi e che include nomi di economisti, professori, analisti e fra gli altri forse il sostituto di Carlo Cottarelli.
Sul caso Emilia-Romagna finora Renzi non è intervenuto, ma la posizione del partito è chiara: i candidati li scelgono i cittadini e non i giudici; e anche se non si crede alla giustizia ad orologeria, nemmeno — atteggiamento tenuto anche in altre occasioni — si ritiene di non dover attendere la sentenza. In sintesi, si capisce a Palazzo Chigi, la cosa migliore che può fare il Pd è continuare nella scelta delle primarie. Al termine di un incontro con la senatrice Anna Finocchiaro, ieri Renzi ha fatto sapere che non c’è alcuna decelerazione sulla riforma elettorale, sarà discussa in Senato prima di quella che riguarda la Pa. Di pomeriggio c’era stato qualche fraintendimento nella comunicazione: da fonti del partito arrivava un’inversione dell’ordine, poi è stato lo stesso Renzi a chiarire. Prima la legge elettorale.
Marco Galluzzo – Corriere della Sera – 12 settembre 2014