Sarà un nuovo Fondo europeo per gli Investimenti a finanziare il piano da 300 miliardi per rilanciare la crescita che il presidente della Commissione Ue, Jean Claude Juncker, presenterà mercoledì al Parlamento di Strasburgo. Il nuovo salvadanaio dell’Unione sarà operativo nel giugno del prossimo anno. E i fondi che arriveranno dai governi nazionali per finanziarlo saranno scomputati dal deficit, dunque saranno sfilati dal calcolo per determinare se un Paese rispetta o meno il parametro del 3%.
È ormai pronto il piano atteso dalle capitali per dare respiro all’economia del continente, ieri le ultime limature sono arrivate nel corso di una riunione fiume dei capi gabinetto dei 28 commissari europei. Che hanno anche confermato il via libera alla manovra italiana che verrà formalizzato venerdì prossimo. È il nuovo corso politico impresso da Juncker che certamente farà storcere il naso a diversi capi di governo, specialmente del Nord Europa.
Il piano da 300 miliardi è il pilace del programma della nuova Commissione Ue, il cuore del pacchetto economico che passerà in settimana e che comprenderà anche un rapporto sul funzionamento delle regole europee sui conti pubblici, che in dicembre sfocerà in nuove proposte di Juncker ai leader europei. È da lì, dai 300 miliardi, che dovrebbe ripartire l’economia europea. A finanziarlo sarà un Fondo alimentato dai capitali della Banca europea degli investimenti e da contributi volontari degli stati nazionali. Se la Commissione rinuncia a pubblicare una comunicazione ad hoc sulla flessibilità nel giudizio sui conti, è lo stesso piano Juncker a contenerne: i soldi versati dai governi non saranno contati nel deficit ai fini dei calcoli del Patto di Stabilità e del Fiscal Compact. Certo, i paesi che decideranno di contribuire al Fondo non avranno certezza che poi tutti i soldi versati andranno a finanziare progetti della propria nazionalità, ma il principio politico dello scorporo passa per la prima volta a Bruxelles ed è a suo modo rivoluzionario. Di certo piacerà molto al governo italiano, come a quello francese, che da anni insiste su questo punto e che Renzi ha posto tra le priorità del suo semestre di presidenza dell’Unione. Così come flessibilità Juncker ne dimostra rinviando a marzo i giudizi sui conti di Italia, Francia e Belgio, tutti quanti non in linea con i parametri europei se interpretati con il bilancino rigorista. Per Roma per ora ci saranno solo una serie di richiami sull’urgenza di approvare le riforme, in alcuni casi sul loro contenuto (come sulla fiscalità del lavoro), e ovviamente sul debito pubblico. Ma nulla di vincolante, e soprattutto il governo avrà 4 mesi per dimostrare a Bruxelles che fa sul serio. Per l’Italia inizialmente si parlava della pubblicazione di un early warning sui conti, primo passo del commissariamento, e di una nuova manovra correttiva. Renzi e Padoan se la cavano investro con una lettera informale spedita venerdì a Bruxelles con una serie di impegni che la Ue verificherà in primavera. Anche Francia e Belgio hanno dovuto scrivere alla Commissione una identica missiva. Ma il dato politico è che Bruxelles ci riconosce all’Italia e agli altri quelle «circostanze eccezionali » avverse, come recessione e deflazione, che ci permettono di rallentare il risanamento dei conti e di beneficiare di più tempo prima di una eventuale bocciatura.
Tornando al piano Juncker, il Fondo degli Investimenti mira ad attirare anche finanziamenti privati e per questo sarà garantito dal bilancio della Commissione europea, in modo da rassicurare i potenziali investitori. L’importo del Fondo sarà moltiplicato fino a 300 miliardi usando una leva finanziaria, a partire dai Project Bonds sui singoli progetti. Ad ogni modo i contributi nazionali non saranno calibrati sui Pil, ma saranno volontari e proporzionati agli investimenti necessari nei paesi che contribuiscono al fondo.
La priorità è quella di finanziare progetti nel settore dell’energia e dell’economia digitale, oltre a salute, ambiente, trasporti, educazione e risorse naturali. Al momento i governi hanno già inviato a Bruxelles una lista di proposte che aspirano al finanziamento Ue con 1800 progetti per un valore complessivo di 1100 miliardi. L’Italia è il Paese che ne ha mandati di più, per una somma pari a 87 miliardi. Ma se Germania e Olanda non hanno ancora spedito le loro proposte un motivo c’è: la lista con le segnalazioni di interesse non è esaustiva, non tutti i progetti saranno presi da questo elenco, la vera corsa deve ancora iniziare e nuovi progetti, mirati sulle priorità del piano, arriveranno a Bruxelles. Passeranno solo le eccellenze e non ci saranno quote nazionali, dunque i paesi che presenteranno le idee migliori prenderanno più soldi degli altri.
La governance del Fondo sarà su due livelli. Ci sarà un comitato di esperti indipendenti chiamato a identificare i progetti realmente finanziabili. Sarà poi il board, composto da uomini della Bei e della Commissione, a prendere le decisioni finali. Mentre la Bei per garantirsi la tripla A nella sua attività ordinaria non può prendere rischi nel decidere le opere da finanziare, il Fondo potrà essere più aggressivo e sarà appetibile per i privati perché super garantito.
Repubblica – 23 novembre 2014