Se licenzi, ci guadagni? «Potrebbe essere. Ma se fosse, è perché il governo Renzi ha abbassato il costo del lavoro stabile». Filippo Taddei, responsabile economico del Pd, commenta così lo studio Uil diffuso ieri da Repubblica in cui si dimostra il saldo positivo per le aziende che assumono nel 2015 con il nuovo contratto del Jobs act e poi licenziano dopo un anno o tre. Tra maxi bonus incassati (Irap e contributi) e mini indennizzi pagati, le imprese potrebbero risparmiare oltre 6 mila euro dopo un anno, fino a 19 mila nel triennio, per stipendi medi da 22 mila euro lordi.
L’effetto boomerang non viene negato da Taddei che però invita a leggere la tabella come frutto di un’ipotesi ampiamente circolata sin qui una mensilità e mezza per anno lavorato in caso di licenziamento – che «non è quella del governo», senza dire però quale sia l’orientamento di Palazzo Chigi. Ne sapremo di più la prossima settimana, quando il Consiglio dei ministri approverà il primo decreto delegato del Jobs act. «Lo schema degli indennizzi sarà più complesso di questo», insiste Taddei. «In ogni caso, noi proviamo a rendere più conveniente il lavoro a tempo indeterminato».
Una convenienza che potrebbe minarne la stabilità, però. Contraddizione in termini. «Se fosse così, il nuovo contratto a tutele crescenti sarebbe tutto fuorché stabile», obietta Cesare Damiano, ex ministro del Lavoro, ora presidente pd della commissione Lavoro della Camera. «Con uno sgravio inferiore al risarcimento, il lavoratore è chiaramente esposto al rischio di licenziamento, anche se ha ragione. Ma se la persona è licenziabile con facilità per lucrare quella differenza, allora il contratto è a termine. La verità è che questo meccanismo di premialità non funziona. Per questo propongo di fissare un livello di indennizzo, in caso di licenziamento illegittimo, pari o superiore alla somma degli incentivi. Oppure di far restituire gli sgravi, se si licenzia». La proposta potrebbe finire in un emendamento alla legge di Stabilità, ora al Senato (uno è stato presentato ieri a caldo da Erica D’Adda per condizionare i bonus ad una clausola che eviti i licenziamenti facili). Incentivi senza vincoli a creare posti aggiuntivi, «possono rappresentare sostituzione di lavoro stabile con lavoro instabile, allargando ulteriormente la forbice», dice anche Susanna Camusso, segretario Cgil, alla vigilia dello sciopero generale di venerdì con la Uil.
Lo scontro tra le due anime del Pd sul fronte lavoro torna così di nuovo a bruciare. Giampaolo Galli, ex direttore generale di Confindustria, ora deputato pd, ieri ha twittato che il conto fatto dalla Uil «non sta né in cielo né in terra». E subito dopo che «uno sgravio è solo un minor costo, in tasca non mi viene niente». Infatti è proprio così: un minor costo, dunque un risparmio, dunque più soldi che rimangono in tasca, quella dell’azienda. «Bingo: licenzi e ci guadagni. Un’assurdità devastante », commenta Giorgio Airaudo, ex sindacalista della Fiom, ora deputato Sel. «I lavoratori sono trattati come pacchi: lavori uno, due, tre anni poi ti licenzio, ci guadagno e ne assumo un altro. E così via. Alla faccia della riforma di sinistra. Più che le tutele a crescere saranno i disoccupati».
Repubblica – 10 dicembre 2014