La lavoratrice che intende utilizzare il congedo parentale facoltativo, per non essere considerata assente ingiustificata sul lavoro, deve comunicare al datore di voler utilizzare quel congedo. Se invece resta a casa senza aver fatto questa comunicazione, può essere legittimamente licenziata per giusta causa. Questa, in sintesi, l’interpretazione data dalla Cassazione nella sentenza 16746/2012.
La decisione ha come base giuridica, da un lato, il congedo parentale, vale a dire la facoltà di astensione concessa a ciascun genitore-dipendente nei primi otto anni di vita del bambino (attualmente regolato dall’articolo 32 del decreto legislativo 151/2001) e, dall’altro, il divieto di licenziamento della lavoratrice madre (articolo 54 del decreto legislativo 151/2001), secondo il quale la lavoratrice non può essere licenziata dall’inizio del periodo di gestazione fino al compimento dell’anno di età del bambino. Sullo sfondo della sentenza vi è anche l’articolo 32, comma 3, del decreto 151/2001, che impone, a chi intenda utilizzare il congedo, l’onere di dare al datore un preavviso di almeno 15 giorni prima dell’inizio del periodo di astensione, in modo da consentirgli di riorganizzare il lavoro.
La vicenda esaminata dalla Suprema corte riguarda una lavoratrice licenziata per colpa grave poiché, secondo il datore, si sarebbe astenuta dal lavoro in modo ingiustificato, senza comunicare la volontà di fruire del congedo parentale. La licenziata contesta il provvedimento espulsivo davanti ai giudici e, in primo grado, vince la causa. In appello il licenziamento, invece, viene giudicato legittimo: la sentenza di secondo grado afferma che, omettendo la comunicazione, la dipendente ha posto in essere una condotta che rivela inaffidabilità lavorativa e ha mostrato di essere indifferente al diritto del datore, che, se avvertito del congedo, avrebbe avuto la possibilità di organizzare, per tempo, il lavoro in azienda.
La licenziata ricorre in Cassazione, che chiarisce la corretta interpretazione delle norme citate, sostenendo, in sostanza, che: ogni dipendente interessata (o interessato) al congedo deve esercitare la facoltà di astensione solo dopo avere comunicato la propria intenzione al datore e all’eventuale istituto assicuratore; l’indennità di astensione non può essere riconosciuta per periodi anteriori alla data della comunicazione; una lavoratrice-madre, pur godendo di una particolare tutela legislativa, può essere licenziata, in base all’articolo 54 del decreto legislativo 151/2001, se la sua condotta sia connotata da colpa grave; prima di procedere al licenziamento per giusta causa, il datore deve, però, considerare se il comportamento censurato abbia, come causa o concausa, le particolari condizioni psico-fisiche collegate alla gestazione e alla maternità.
La Suprema corte, esaminata nel dettaglio la sentenza di appello, ritiene che i giudici di secondo grado abbiano applicato correttamente tali profili interpretativi, anche considerando che la licenziata non ha prodotto, in causa, elementi da cui si potesse ricavare che l’omissione di comunicazione dipendesse dalle sue particolari condizioni psico-fisiche. Di conseguenza, con la sentenza n. 16746/2012, la Cassazione conferma la legittimità del licenziamento della lavoratrice-madre.
Le tutele
01|IL CONGEDO
Ciascun genitore (sia la madre, sia il padre) ha diritto ad astenersi dal lavoro per ogni bambino non avente
più di otto anni di vita
02|LA COMUNICAZIONE
Il lavoratore ha l’onere di comunicare, almeno 15 giorni prima dell’astensione, di voler utilizzare il congedo
03|IL DIVIETO
È vietato licenziare della lavoratrice madre nel primo anno di età del bambino, se non per sua colpa grave e negli altri casi previsti dalla legge