Agnelli e capretti. Un progetto di legge per vietare l’abbattimento. Brambilla lancia la raccolta di firme: «Strappati alle madri a 35 giorni di vita, fermiamo questo scempio»
C’è una strage che si ripete ogni anno a Pasqua. È la strage di agnelli e capretti. «La più esecrabile, un cocktail di crudeltà, arroganza e business», la definisce senza mezzi termini l’onorevole Michela Vittoria Brambilla che ieri ha lanciato la nuova campagna di raccolta firme a supporto di un progetto di legge che vieti «l’abbattimento, la macellazione, nonché l’importazione e l’esportazione di animali che non abbiano raggiunto l’età adulta».
Per la petizione popolare (si può firmare anche sul sito www.nelcuore.org) si stanno mobilitando centinaia di volontari della Lega Italiana Difesa Animali e Ambiente in tutta Italia. Ai banchetti, le mille uova di Pasqua Veg vanno esaurite in meno di mezz’ora. «In Italia ogni anno sono macellati 700 milioni di animali. Tanti i cuccioli — spiega Michela Vittoria Brambilla —. I dati delle macellazioni ci dicono che le cose stanno lentamente cambiando, si sono più che dimezzate ma restano comunque troppe. Cominciamo a vietare di abbattere i cuccioli. La crudeltà dietro questo commercio è indescrivibile. Vengono strappati alle madri a 35 giorni di vita, buttati su furgoni, ammassati, belano per il terrore, arrivano al macello senza un filo di voce. E poi diciamo che la scelta Veg è la sola possibile. Dobbiamo fermare questo scempio». I numeri fotografano una rivoluzione dei consumi: nel 2010 furono quasi 5 milioni gli agnelli e i capretti sacrificati per le tavole imbandite. Lo scorso anno ne sono stati macellati 2 milioni e trecentomila. La metà. Ma l’onorevole Brambilla non risparmia gli chef. L’affondo è diretto a coloro «che in televisione descrivono la prelibatezza delle carni di agnello e capretto, ne parlano come di oggetti. È diseducativo». E mostra le immagini di altri due capretti che ha salvato anche quest’anno da un macello. «Sembrano dei cagnolini, come si può immaginare di mangiarli? La gente deve vedere di cosa stiamo parlando».
Paola D’Amico – Il Corriere della Sera – 20 marzo 2016