Pianura Padana e aria inquinata. Più che un elefante, quello parcheggiato nel salotto della riflessione in tema di ambiente è un Boeing 747, piazzato lì da buoni trent’anni. Il fazzoletto d’Italia che contiene il Veneto è una delle aree più inquinate del pianeta per concentrazione di: polveri sottili (Pm 10 e Pm 2,5), monossido di carbonio, diossido di azoto, diossido di zolfo e benzopirene. Tutte sostanze nella black list dell’Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro e monitorate nel ciclico saliscendi (poco scendi, per la verità) dal Rapporto per la qualità dell’aria dell’Agenzia europa per l’Ambiente.
Arco alpino alle spalle che stoppa i venti, clima umido, un’industria tra le più attive e un’urbanizzazione tra le più fitte del pianeta, la regione non è fortunata: questo si sa. Quel che non si sa, è che anche solo tagliando meno di un quarto la presenza nell’aria delle Pm 2,5, da qui al 2020 si eviterebbero 30 mila morti premature, 10 mila l’anno in tutta Italia, da 3 a 5 mila nel solo Veneto. Lo dice, stavolta, uno studio del dipartimento di Epidemiologia del Servizio sanitario del Lazio (il progetto VIIAS, acronimo di Valutazione integrata dell’impatto dell’inquinamento atmosferico su ambiente e salute in Italia) ripreso da Legambiente nel proprio resoconto annuale sull’inquinamento atmosferico nei capoluoghi italiani: «Mal’Aria di città».
Il rapporto torna a lanciare un Sos sullo stato di salute dell’aria che i veneti respirano: «…in Veneto il 92 per cento delle centraline urbane monitorate ha superato il limite di 35 giorni consentiti. In particolare tutte le centraline delle città di Padova, Rovigo, Treviso, Venezia, Verona e Vicenza». In Lombardia, per chi voglia consolarsi ma non troppo col giardino del vicino, stanno appena meglio: 84 per cento di centraline in rosso. Il Piemonte sta a 82, Emilia-Romagna e Campania pareggiano: 75 per cento ciascuna.
L’altro mastodonte accoccolato nel salotto di casa è la risposta al problema. I sindaci bloccano le auto, più per non incorrere nelle «rotture» della normativa anti inquinamento, che li obbliga ad attivarsi dopo i 35 sforamenti l’anno, che per vera convinzione. In generale, lo stop tocca alle Euro zero ed Euro 1 a benzina, quindi zero, uno e due diesel, oltre ai mezzi a due ruote immatricolati prima del 2000. Non si circola nelle ore centrali del mattino e del pomeriggio, dal lunedì al venerdì. La ricetta, da est a ovest, è più o meno questa. Forse solo Vicenza prova a fare di più. Il blocco alle auto dura da novembre ad aprile ed è più rigido quanto più ci si avvicina al centro cittadino. Quest’anno, a differenza di altri sindaci di capoluoghi, Achille Variati manterrà in vigore i limiti anti smog anche durante le feste, con buona pace di chi lamenterà disagi per acquisti e pacchi di Natale.
«La sensazione che ci abbiano mollato può essere vera, del resto ci hanno mollato un po’ tutti», dice Antonio Dalla Pozza, da otto anni assessore all’Ambiente di Vicenza. «Solo quest’anno e dopo un bel po’, con il Collegato Ambientale abbiamo visto 35 milioni per interventi anti smog (il bando è dedicato a capoluoghi con oltre 100 mila abitanti o aggregazioni di comuni, ndr ) e ovviamente abbiamo partecipato. Con la Regione abbiamo condiviso le linee guida per il contrasto del fenomeno su scala più ampia…». Insomma, si fa quel che si può. Lo stesso Dalla Pozza, del resto, ricorda che per i sindaci dei piccoli comuni «senza reti di trasporto pubblico su cui fare affidamento, è difficile bloccare il transito delle automobili. Noi, in città, possiamo dire che i collegamenti sono comunque possibili ma loro?».
allora avanti. Bollettino Arpav di ieri sulla qualità dell’aria. Padova, centralina Arcella, picco più alto in città: 47 sforamenti del limite di Pm 10 dal primo gennaio scorso; 47 a Treviso,strada Sant’Agnese; 49 a Venezia, via Tagliamento; 45 a Vicenza, quartiere Italia… Lorenzo Albi, Legambiente Verona, conferma: il quadro è quello dipinto. «C’è stata inerzia a livello regionale e locale. Anche in comuni con criticità consolidate i provvedimenti sono stati scadentissimi, quando ci sono stati. Il blocco parziale del traffico, del resto, tanto più se non è affiancato da altre misure, serve a poco».
Proposte, soluzioni? «Un piano nazionale antismog serio, guidato dal governo, con risorse e obiettivi misurabili. La priorità – dice Albi – dev’essere realizzare nuove linee metropolitane e di tram, cui vanno vincolate il 50 per cento delle risorse dedicate a nuove infrastrutture». Auto come ultima opzione, quindi. «I mille treni per i pendolari annunciati da Prodi nel 2006 e mai arrivati. Quelli servono. Corsie ciclabili lungo le principali direttrici di mobilità cittadine, da realizzare con finanziamenti di comuni e Regione. Ancora, imporre a livello nazionale il limite di trenta l’ora nei centri abitati…». A Legambiente piace il modello Milano introdotto da Letizia Moratti: un’area, la famosa Area C, in cui paghi per accedere; il ticket finanzia investimenti in trasporto locale. «Dal 2000 al 2015 – chiude Albi – sono stati dati circa 400 milioni l’anno di aiuto all’autotrasporto. Questa politica deve cessare».
Un ultimo numero dal progetto laziale VIIAS. Nel solo 2010, sei anni fa, i costi collegati a problemi di salute derivati da inquinamento dell’aria sono costati all’Italia tra 47 e 142 miliardi. La «forchetta», va detto, è un tantino ampia. Ma anche a prendere per buona la cifra piccola, sono 47 passanti di Mestre, pagato 986 milioni iva esclusa. Si parla di aria, certo, purché non fritta.
Renato Piva IL Corrierre del Veneto – 3 dicembre 2016