Sono solo 500 le famiglie capitoline colpite dall’emergenza acqua, ma a Roma infuria una bufera. A sollevare un polverone di allarmismo e polemiche il divieto di aprire i rubinetti per alcune zone di Roma Nord, deciso dal sindaco Ignazio Marino a causa della presenza di batteri e arsenico oltre le soglie consentite.
Sotto accusa c’è il ritardo nella comunicazione da parte di Marino, che il 21 febbraio scorso si è limitato ad emettere un’ordinanza passata di fatto sotto silenzio. In realtà, la situazione di rischio era già stata comunicata ai cittadini nelle bollette dell’Arsial, l’Agenzia Regionale per lo Sviluppo e l’Innovazione dell’Agricoltura del Lazio. Come spiega il commissario straordinario Arsial Antonio Rosati, «sono due anni che mandiamo le bollette con scritto “acqua non potabile”. Le Asl hanno fatto un prelievo, hanno notato un livello d’arsenico superiore ai limiti previsti, l’hanno trasmesso al sindaco e il sindaco ha emesso una ordinanza. Che forse andava preparata meglio, ma non è il caso di fare degli allarmismi». Sulla stessa linea il Comune di Roma, secondo cui «l’allarme è assolutamente ingiustificato», e «non vi è pericolo imminente per i cittadini», visto che «il provvedimento è stato adottato in base ad un principio di precauzione ed è volto ad intervenire su una situazione nota da molto tempo che riguarda la riqualificazione degli acquedotti rurali per adattare l’acqua erogata alla modifica dei parametri europei».
Ma l’opposizione della Capitale va all’attacco. Sveva Belviso, capogruppo del Nuovo centrodestra di Roma Capitale, parla di «comportamento ingiustificabile e allucinante», visto che il Comune sapeva da due mesi dei rilievi dei tecnici dell’Asl, che dell’ordinanza Marino del 21 febbraio si è saputo solo il primo marzo, e che «non sono stati ancora stampati manifesti e avvisi né sono stati contattati tutti i residenti interessati, e che neanche sul sito del Comune la notizie è riportata in primo piano». Stesse critiche da Storace e Forza Italia.
Quel che è certo è che fino al 31 dicembre i cittadini interessati dovranno tenere assolutamente chiusi i rubinetti, sia per uso alimentare che per l’igiene personale. Dieci mesi all’asciutto in attesa del risanamento degli acquedotti, mentre l’Arsial assicurerà la fornitura di acqua con punti di rifornimento sul territorio.
Il problema nasce dall’adeguamento ai limiti di concentrazione dell’arsenico nell’acqua previsti dall’Unione europea, fissati ora a 10 microgrammi per litro). Queste norme sono state recepite anche in Italia, ma in alcune zone con deroghe prorogate per anni, in attesa di adeguare gli impianti. E se anche le amministrazioni locali si sono impegnate a realizzare i cosiddetti «potabilizzatori» per depurare l’acqua, i tempi sono risultati lunghissimi. Così, nel frattempo, i sindaci dei Comuni interessati – a rischio di sanzione – hanno dovuto promulgare ordinanze per vietare l’uso e il consumo dell’acqua quando i livelli di arsenico salivano eccessivamente. Il risultato è l’obbligo di impiegare autobotti per rifornire la popolazione, come sta avvenendo ora nella campagna a nord della Capitale. Una situazione pericolosa che in certe zone prosegue da anni. E ogni tanto – forse fortunatamente – torna al centro delle cronache.
La Stampa – 3 marzo 2014