Anzianità, donne, finestre: il Governo pesa i risparmi
Le simulazioni sono già tutte sul tavolo del ministro del Lavoro Elsa Fornero e garantiscono forti risparmi di spesa.
Soprattutto la “misura madre” per completare la riforma del sistema previdenziale, quella che prevede il passaggio al metodo di calcolo contributivo per tutti i lavoratori a partire da gennaio con libertà di scelta del momento del pensionamento all’interno di una forchetta compresa tra i 63 e i 68 (eventualmente 70) anni. Una seconda, importante, riduzione di spesa, arriverebbe poi con il semi-blocco delle anzianità con 40 anni di contributi. Se nel primo caso il meccanismo che si innesca è quello di un incentivo a lavorare qualche anno in più in vista di un montate contributivo maggiore, nel secondo caso l’effetto-risparmio è generato dalla dinamica dei flussi dei pensionamenti anticipati che, per ragioni demografiche, avvengono sempre più con il massimo di versamenti previsti che non con il meccanismo delle quote.
Il terzo e quarto punto dell’intervento organico promesso dal nuovo Governo dovrebbero invece riguardare l’adeguamento dei requisiti pensionistici in relazione alla speranza di vita (da anticipare dal 2013 al 2012 con un posticipo di tre mesi per tutti) e l’aumento dell’età per la pensione di vecchiaia delle lavoratrici del settore privato.
Questi ultimi due interventi potrebbero anche essere anticipati nel decreto sulla manovra correttiva che sarà varato prima del Consiglio europeo del 9 dicembre. Anche se l’obiettivo di Mario Monti e del ministro Elsa Fornero, resta quello di definire un pacchetto organico, da valutare preventivamente insieme alle parti sociali (ed eventualmente da varare con un disegno di legge o una delega ad hoc), come ha ricordato lo stesso premier nel Consiglio dei ministri di venerdì scorso. Quello dell’eventuale anticipo di alcune misure non è il solo nodo da sciogliere. La Ragioneria generale dello Stato insiste sul ricorso a quota 100 (somma di età anagrafica e contributiva) nel 2015 per superare le “anzianità” anziché far leva sul meccanismo flessibile di uscite su cui sembra puntare la Fornero (e anche il Pd). Altra partita tecnica in corso è quella sull’eventuale blocco della finestra di uscita per i pensionamenti di anzianità, che non sembra però incontrare i favori del ministero del Lavoro.
Nell’attesa del decreto sulla manovra correttiva, la prima grandezza certa a cui ancorarsi sono proprio i risparmi legati alla vecchiaia a 65 anni delle donne. L’intervento è delicatissimo, perché tocca la parte più debole del mercato del lavoro italiano, dove il già bassissimo tasso di occupazione femminile è accompagnato da fragilità particolare proprio per le lavoratrici over 50, le più esposte a rischio disoccupazione in caso di perdita dell’impiego. Il Governo Berlusconi aveva affrontato la questione con grande incertezza: prima prevedendo un incremento graduale del requisito anagrafico a partire dal 2020 (l’equiparazione a 65 anni con gli uomini sarebbe arrivata nel 2032, poi con un anticipo al 2016 (per arrivare a regime nel 2028) e, infine, con un ulteriore anticipo al 2014 (con allineamento nel 2026).
In agosto, quando la seconda manovra correttiva era in corso di elaborazione, era state fatte le stime sui risparmi sull’ipotesi di un passaggio immediato a 65 anni dal 2012, passaggio apparentemente draconiano ma che è già previsto per le dipendenti del settore statale. Tra il 2013 e il 2015 il calo di spesa previsto sulle principali gestioni Inps sfiora i 3,5 miliardi, con una platea di lavoratrici coinvolte di 60mila il primo anno, 134mila il secondo e 220mila nel terzo. Nel triennio successivo il calo di spesa è ancora più importante: circa 11 miliardi in termini cumulati tra il 2016 e il 2018, con un blocco al lavoro di circa 350mila lavoratrici medie l’anno. A queste stime si affiancano le previsioni ormai consolidate dei risparmi Inpdap garantiti dal passaggio a 65 anni dell’età di vecchiaia che scatta a gennaio. Nel primo triennio (2012-2014) il calo di spesa, sempre in termini cumulati, sfiora i 740 milioni, con un blocco al lavoro di 27.363 lavoratrici; nel triennio successivo (2015-2017) i risparmi salgono a 900 milioni, con uno stop di 31.640 dipendenti.
Quanto “pesa” questo intervento in termini di risparmi rispetto agli altri sul tavolo è difficile ipotizzarlo con precisione. Di sicuro vale di più dell’eventuale blocco, pure valutato, delle anzianità con 40 anni di lavoro: una chiusura della finestra per il 2012 avrebbe il solo effetto di produrre una gobba di spesa nel 2013-2014, quale che sia il calo temporaneo dei pagamenti (forse meno di un miliardo). Calcolo diverso andrebbe fatto se ai 40 anni si associasse un requisito d’età, ma quale età? E poi, con quali eccezioni per i cosiddetti “lavoratori precoci”? Fuori da questi meandri ragionieristici resta la questione dell’anticipo dell’aggancio all’aspettativa di vita. Nodo sul quale, più che ai risparmi previsti, si deve invece legare l’adeguamento in corso per i coefficienti di trasformazione, che scatterebbe per il 2013. Ha senso non far coincidere nello stesso anno due meccanismi che vincolano la pensione (l’uno al requisito d’accesso, l’altro con il calcolo dell’assegno) all’aspettativa di vita?
Ilsole24ore.com – 28 novembre 2011