Una Regione non può prevedere il subentro di un’azienda sanitaria provinciale nei contratti di lavoro di diritto privato del personale di una Onlus. A chiarirlo è stata la Corte costituzionale, che ha dichiarato illegittimo l’articolo 16 della legge regionale della Basilicata n. 26/2011, come sostituito dalla legge 7/2013. La norma disponeva il passaggio all’azienda sanitaria di Potenza, in coordinamento con l’azienda sanitaria di Matera, delle attività di prevenzione e riabilitazione svolte dalla sezione italiana dell’Agenzia internazionale per la prevenzione della cecità (Siacp), un’organizzazione senza scopo di lucro.
Il secondo comma dell’articolo prevedeva inoltre, oltre al trasferimento all’Asp delle dotazioni strumentali e finanziarie assegnate dalla Regione alla Siacp e non ancora utilizzate, il subentro della stessa azienda sanitaria «nei contratti di lavoro di diritto privato del personale in essere alla data di entrata in vigore della presente legge, senza che ciò costituisca l’instaurarsi di un rapporto di pubblico impiego». Secondo il presidente del Consiglio dei ministri, che l’ha impugnata davanti alla Consulta, la legge contrasta sia con gli articoli 3 e 97 della Costituzione, perché consente l’inquadramento in una pubblica amministrazione di personale non selezionato attraverso un concorso pubblico, sia con l’articolo 117, che riserva alla competenza esclusiva dello Stato la materia dell’ordinamento civile e che risulta violato dall’introduzione di una modalità di assunzione (un contratto a tempo indeterminato senza inquadramento nei ruoli dell’Asp) sconosciuta dall’ordinamento statale. Per i giudici costituzionali la questione è fondata perché la norma viola gli articoli 3 e 97 della Costituzione. «Il concorso pubblico – ricorda la Consulta – costituisce la modalità Bocciata la legge della Basilicata che prevedeva subentri da una Onlus generale e ordinaria di accesso nei ruoli delle pubbliche amministrazioni». È stato già ritenuto illegittimo il mancato ricorso a questa forma di reclutamento del personale nella Pa in relazione a norme regionali di generale e automatico reinquadramento del personale di enti di diritto privato nei ruoli di Regioni o enti pubblici regionali, «perché un tale trasferimento si risolve in un privilegio indebito per i soggetti beneficiari di un siffatto meccanismo» (si vedano le sentenze n. 227/2013, n. 62/2012, nn. 310 e 299 del 2011, n. 267/2010). Neanche il principio per cui il passaggio di attività da un soggetto a un altro – continua la sentenza – comporta il trasferimento del personale «consente di prescindere dall’esigenza di pari condizioni di accesso di tutti i cittadini e di selezione dei migliori» (si veda la pronuncia n. 227/2013).
Alla regola del concorso, insomma, non si può e non si deve sfuggire. E gli escamotage sono inutili. A nulla vale dunque l’espressa esclusione, sancita dalla norma, dell’instaurazione di un rapporto di conclude la Corte costituzionale – la prosecuzione del rapporto di lavoro con una pubblica amministrazione non può che risolverei nell’insorgenza di un rapporto di impiego pubblico alle dipendenze di quest’ultima». È vero che la Consulta ha riconosciuto in via di principio, con la sentenza n. 217/2012, che si può eccezionalmente derogare alla regola del concorso quando discostarsene si riveli più funzionale al buon andamento dell’amministrazione e ricorrano straordinarie esigenze di interesse pubblico. Ma nel caso in esame «non si rinviene alcuna ragione o esigenza che possa giustificare una deroga».
Manuela Perrone – Il Sole 24 Ore sanità – 29 maggio 2014