Cordone di sicurezza imponente, giornalisti e curiosi ovunque, telecamere in testa e, quando va meglio, gomitate. Una ressa così non si vedeva da tempo anche in un posto sempre affollato come la Fiera di Verona durante il Vinitaly. Ma c’era da aspettarselo per una prima assoluta del (neo)presidente del Consiglio Matteo Renzi. Anzi: una prima assoluta per un capo di governo, anche se qualcuno giura di ricordare un passaggio di più di venticinque anni fa. Forse Giovanni Goria, forse Ciriaco De Mita.
Il ritmo di Renzi però non è certamente quello della prima Repubblica, la forma e il protocollo meno che meno. Il passo è quello spedito a cui ha abituato i giornalisti, i curiosi (e i contestatori) a Treviso poco più di un mese fa, i saluti e le strette di mano anche («Ciao, piacere sono Matteo»). E il primo omaggio naturalmente è al Veneto.
Uno sguardo rapido ai due leoni di San Marco che presidiano l’entrata del padiglione, un passaggio veloce tra gli stand degli espositori e una sosta nella struttura di rappresentanza della Regione. «Non sono mica come Zaia, ho bisogno di mangiare qualcosa se bevo prosecco alle 10 del mattino». Risate, brindisi (con tanto di sorsata conseguente a una fettina di prosciutto) e bollicine. Tante. Anche da parte del governatore Luca Zaia che risponde a tono consegnando al premier un gonfalone rosso e dorato con il leone alato. «Basta che non sia il tanko», ride Renzi aspettando la pioggia di flash mentre stende la bandiera insieme a Zaia. Perché sia chiaro, del tanko Renzi non ha nessuna intenzione di parlare. «Certe iniziative eclatanti e molto visibili esulano dal campo della politica. Il Veneto è una regione che amo e che resterà una colonna portante dell’Italia», dice. I tanki dunque sono e restano un affare della magistratura e i referendum non istituzionali non lo spostano di una virgola. Su tutto l’affaire indipendenza Renzi ha calato un sipario pesante. E anche di più.
L’orecchio da ex sindaco però è politicamente sensibile ad altre richieste. E di fronte alla domanda (quasi) unanime del Veneto di una maggiore autonomia ieri si è aperto uno spiraglio. Non una voragine, sia chiaro. Non uno spazio che contenga i referendum della Regione (quel progetto di legge 342 che andrà in discussione in Consiglio regionale i primi giorni di giugno). Anche la richiesta di statuto speciale alla Trentino Alto Adige che marcia inesorabile verso la conferenza Stato-Regioni di lunedì sembra ancora un orizzonte lontano.
Ma un’apertura c’è. Ed è tutta fiscale, come piace a molti veneti. «Ci sono alcune Regioni che finora hanno pagato molto più di altre», dice Renzi dal palco dell’Auditorium Verdi di fronte a una pletora nutrita di telecamere e ospiti (tra cui il sindaco di Verona Flavio Tosi con cui Renzi ha parlato in privato per un quarto d’ora prima entrare in sala). «Adesso le cose devono cambiare – continua il premier – È sacrosanto che la riorganizzazione della spesa diventi uno strumento per aiutare le regioni più in difficoltà, ma chi ha già pagato adesso deve pagare un po’ meno. Non si può continuare a chiedere sforzi ai territori virtuosi e poi spendere male i soldi». Insomma, non si può chiedere continuamente ai veneti di lasciare sul piatto di Roma una montagna di miliardi di euro mentre le piccole medie imprese che una volta marciavano spedite vedono il terreno franare sotto i piedi. «La revisione della spesa non sarà più fatta basandosi su tagli lineari – assicura Renzi – Non va bene, non è questo che deve fare un governo. Non è pensabile che la Sanità del Veneto debba subire interventi pesanti e uguali a quelli di altre regioni». Roba che, a onor del vero, il governatore e l’assessore regionale al Bilancio Roberto Ciambetti dicono ormai da un po’ di anni ripetendolo allo sfinimento. Se ne accorge anche Renzi che «questa è roba che sa tanto di leghismo». E ricorre all’excusatio non petita e chiaramente manifesta. «Lo dico subito: valorizzare il Veneto non è questione di leghismo. È giustizia. È equità». È una risposta ai parlamentari veneti che da settimane si mettono le mani nei capelli ogni volta che il governo accentra e dà meno spazio alle autonomie che qui valgono ben più di un pugno sparuto di voti.
E per questo Renzi dal palco internazionale del Vinitaly non si limita a esprimere giudizi lusinghieri sulla virtuosità del Veneto. Traccia (al momento a parole) anche una doppia linea d’azione del governo. Prima promette che con il prossimo viaggio in Cina si farà pressione su Pechino perché l’export di vino italiano passi nei prossimi sei anni da cinque miliardi di euro a sette e mezzo (e il Veneto farebbe la parte del leone) e poi rassicura tutti i veneti. «Dove si sono già fatti interventi di razionalizzazione non si può insistere ulteriormente – spiega Renzi -. Adesso la razionalizzazione si deve fare dove non si è ancora fatta». Un po’ meno di pressione fiscale, un po’ meno tagli, un po’ più di ossigeno per le imprese in cambio di un contributo al rilancio di tutto il Paese. «Il Veneto può tornare a essere la locomotiva che ci trainerà fuori da questa crisi», ripete. E lo dice come lo direbbe l’amministratore delegato di una grande società a proposito di un sua controllata. «Il Veneto è un nostro asset».
«La discussione sul Titolo V (la parte di Costituzione che descrive i poteri di Regioni, Province e Comuni) non è più astratta o filosofica, ora è il momento di entrare nel merito». Anche di una maggiore autonomia per quelle regioni che si sono dimostrate virtuose. «Ho già parlato con Zaia», conclude Renzi riconoscendo che «in questo territorio l’attenzione alla spesa è stata decisamente migliore di altre regioni».
Alessio Antonini – Corriere del Veneto – 10 aprile 2014