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Boron (presidente commissione Sanità) e i medici in rivolta: «Gli ambulatori associati non sempre funzionano. Lo sciopero? Fallirà».

Fabrizio Boron, lei è il presidente della commissione regionale Sanità: la preoccupa la chiusura degli ambulatori dei medici di base, che inizia i prossimi 8 e 9 novembre in risposta «al mancato potenziamento dell’assistenza territoriale»?

«Mi preoccupa sì, tanto è vero che, per scongiurare lo sciopero annunciato di 81 giorni (fino a dicembre 2018, ndr ) sono stato il primo fautore di un’apertura nei confronti della categoria. A venti giorni dalla richiesta, ho dedicato una seduta della commissione ai medici di famiglia e alle ragioni della mobilitazione, ma da allora non li ho più sentiti. Era fine agosto. La verità non può stare solo da una parte, se si vuole trovare un punto di incontro tutti devono garantire la massima disponibilità. Se invece i camici bianchi vogliono imporre la loro verità, non si arriva da nessuna parte».

Ma perchè si è bloccato l’iter di attivazione delle Medicine di Gruppo integrate (gli ambulatori h12 o h24), perno centrale della rivolta, che minaccia di estendere la chiusura degli studi a quattro giorni a settimana?

«Perché le Medicine di Gruppo avviate (55 su 87 secondo i sindacati, 70 su 87 per la Regione, ndr ) hanno bisogno di un tagliando. Dai dati in nostro possesso risulta che non tutto funziona perfettamente. Come riferito dall’assessore alla Sanità, Luca Coletto, nel Consiglio regionale a tema di un mese fa, gli ambulatori h12 come sono organizzati ora non rispettano la vocazione per cui sono nati, cioè rispondere ai bisogni dei pazienti fragili anche fuori dall’orario classico di studio del singolo dottore. Scopriamo invece che in questi centri si riceve solo su appuntamento e che più di qualche malato si è lamentato per non aver trovato assistenza. Ricordo poi che l’obiettivo di tali strutture è anche di svuotare dai codici bianchi i Pronto soccorso del Veneto, che però continuano a registrare lo stesso numero di accessi (2milioni in tutto, ndr ). Evidenze che non bloccano il progetto ma che ci impongono, prima di andare avanti, una ricognizione. Dobbiamo capire quante Medicine di Gruppo abbiano centrato l’obiettivo e quante no, per correggere il tiro. Dobbiamo avere l’umiltà, da una parte e dall’altra, di metterci in discussione».

Se non funzionano a dovere, dicono i medici, è anche per la mancata assunzione di infermieri e segretarie.

«E ciò prescinde dalla nostra volontà. L’Agenzie delle Entrate ci ha notificato che gli infermieri al lavoro nelle Medicine di Gruppo integrate devono avere lo stesso inquadramento, anche a livello contributivo, dei loro colleghi all’opera nel sistema pubblico. Significa ulteriori, ingenti, spese da accollare alla Regione, che non è un Bancomat».

Diversi consigli comunali, con Treviso, Padova e Mirano in testa, stanno approvando un ordine del giorno che sostiene lo sciopero. Indetto anche per la carenza degli hospice dedicati ai malati terminali e dei nuclei per le cure palliative 24 ore su 24.

«Ma ci sono anche tanti sindaci che sono venuti in Regione a chiedere cosa devono rispondere alle richieste di spazi, contributi e immobili ad affitto calmierato o predisposti ad accogliere le Medicine di Gruppo integrate avanzate dai camici bianchi. Non è corretto: il protocollo firmato dalla categoria con la Regione non prevede il coinvolgimento economico dei Comuni, che si sono sentiti domandare interventi per 50-60mila euro».

Magari non succederebbe se la Regione erogasse i 100 milioni di euro necessari ad avviare la riforma della sanità territoriale prevista dal Piano sociosanitario. Finora ne ha corrisposti solo 25 per gli ambulatori h12.

«Possiamo anche essere in difetto dal punto di vista economico, ma siamo legati al Fondo sanitario che lo Stato continua a decurtare o a non aumentare, nonostante la spesa sanitaria cresca del 4% l’anno».

Potete precettare i medici di base che scioperano?

«La legge ce lo consente solo se non assicurano i servizi essenziali, cioè cure urgenti e assistenza al domicilio per malati gravi e terminali, però garantite. Una soluzione potrebbe essere di mettere a disposizione medici delle Usl almeno per erogare ricette e impegnative nelle giornate di serrata degli ambulatori. Lo proporrò, vediamo se è fattibile».

Come pensa che andrà lo sciopero, visto il successo del blocco delle ricette telematiche operato a settembre come inizio della mobilitazione e forte di un’adesione fino all’80%?

«Da quello che sento, stavolta la protesta non otterrà un’alta partecipazione. Sale il numero dei camici bianchi che si stanno tirando indietro perché non sono per nulla d’accordo sullo sciopero. Il fronte non è così compatto come dicono i sindacati, in ballo c’è la salute pubblica. Vedrete che l’arma più potente contro la contestazione sarà la rabbia dei cittadini».

Che però sono arrabbiati anche perché la Regione non potenzia gli ospedali di comunità necessari ad assistere i 40mila post acuti non in grado di tornare a casa e che sono sulle spalle dei familiari.

«Abbiamo già autorizzato nuovi ospedali di comunità e relative modifiche alle schede ospedaliere, come per il presidio di Castelfranco, ma anche questo processo richiede molte risorse. Con l’invecchiamento della popolazione i costi legati alla cronicità aumentano in continuazione, mentre il budget è sempre quello».

Il Corriere del Veneto – 2 novembre 2017

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