Nel nostro paese le bufale sono allevate quasi esclusivamente per il latte, logico quindi che per questi animali il destino dei cuccioli maschi sia un problema particolarmente sentito. E in passato le cronache hanno spesso denunciato i maltrattamenti nei confronti di annutoli – piccoli di bufalo – lasciati morire, o uccisi per non pesare economicamente sull’azienda. Negli ultimi anni, fortunatamente, le cose stanno cambiando grazie a un sistema di controlli più efficace, che permette di individuare le situazioni anomale. Il problema dei bufali maschi si pone con sempre maggiore evidenza, visto che la diffusione della specie è in crescita, non solo in Italia, ma anche a livello mondiale come testimoniano i dati FAO. Si è passati da 164 milioni di capi del 1994 ai 195 milioni del 2012, con particolare riferimento ai paesi in via di sviluppo, dove il bufalo è allevato per la produzione di latte, carne e in alcuni territori anche come animale da lavoro.
Per quanto riguarda l’Italia, lo strumento fondamentale per gestire la popolazione bufalina è la Banca dati nazionale dell’Anagrafe zootecnica (BDN) informatizzata. Tutti gli animali sono registrati individualmente grazie a una “smart card” rilasciata dal Centro nazionale del Servizio anagrafe presso l’Istituto zooprofilattico sperimentale dell’Abruzzo e del Molise (IZSAM), che consente al sistema di riconoscere l’operatore attraverso un certificato di firma digitale. Il meccanismo permette la comunicazione dei dati in tempo reale da parte di tutte le figure coinvolte nell’allevamento, dal detentore degli animali, che ha l’obbligo di registrare il parto e il vitello nato indicandone il sesso e la madre e di identificarlo, ai servizi veterinari delle ASL e agli stabilimenti di macellazione. Questo meccanismo, che permette di tracciare tutti gli spostamenti del vitello dalla nascita, dovrebbe rendere più difficile la sparizione dei maschi, dato che anche la soppressione di un animale in stalla, così come la macellazione, prevede una procedura di segnalazione e smaltimento della carcassa. Un altro elemento da considerare, inoltre, è che la mortalità dei bufalini è uno dei parametri presi in considerazione dal protocollo CRENBA per fare la valutazione sul benessere animale negli allevamenti.
Un ulteriore strumento di garanzia, pur tenendo conto della variabilità nella produzione di latte – in gran parte utilizzato per la Mozzarella di bufala campana Dop, arrivata a 41milioni di kg nel 2015 secondo le stime riportate dal consorzio di tutela – è la tracciabilità della filiera bufalina, resa obbligatoria dal decreto del 9 settembre 2014, sottoscritto dal Mipaaf e dal Ministero della salute. La norma obbliga le aziende a dichiarare quanto latte viene prodotto e da quanti animali è stato ottenuto. Si tratta di dinamiche che “dovrebbero rendere le irregolarità una vera eccezione, evitando di danneggiare il comparto le aziende che si comportano correttamente”, spiega Domenico Vecchio del National reference centre on water buffalo farming and productions hygiene and technologies presso l’Istituto zooprofilattico sperimentale del Mezzogiorno di Salerno.
Secondo i dati BDN, al 31 dicembre 2017 sono presenti in Italia 396.725 bufali, di cui il 74% circa è allevato in Campania. Sul territorio nazionale ci sono 2.212 allevamenti di cui il 77% è registrato come produzione latte, il 9% come produzione mista di latte e carne, e il 14% è focalizzato solo sulla produzione di carne. Il dato più significativo per capire cosa succede dei bufali maschi è quello dell’ISTAT relativo al numero totale di capi macellati per anno, che è passato dai 4.621 del 2006 ai 94.660 del 2016, “un dato – sottolinea Vecchio – che, considerando il tasso di fertilità di questi animali, dovrebbe approssimativamente coprire il numero di nati maschi che non vengono allevati per la riproduzione”. La situazione quindi è in miglioramento, anche tenendo conto delle differenze tra bufale e vaccine. Le bufale infatti sono più longeve e meno produttive.
Per quanto riguarda il destino dei bufalini macellati, oggi buona parte di questa carne viene destinata al mercato del cibo in scatola per animali anche se si moltiplicano gli sforzi per valorizzare un tipo di carne che può vantare qualità nutrizionali interessanti. La carne di bufalo ha meno calorie rispetto a quella bovina, una minore concentrazione di grassi e valori di colesterolo inferiori alla carne di struzzo (Fonte: Istituto nazionale di ricerca per gli alimenti e la nutrizione). Ma anche percentuali inferiori di grassi saturi (38,4%), superiori di monoinsaturi e una migliore composizione delle proteine, con un maggior apporto di amminoacidi essenziali come la lisina, oltre a livelli superiori di zinco e ferro e vitamine B6 e B12. Si tratta di una carne di qualità, la cui diffusione potrebbe contribuire a evitare la macellazione precoce dei bufalini.
“ Il problema – spiega Vecchio – è che in passato la carne bufalina di animali giovani e di buona qualità spesso era venduta come carne bovina, mentre quella proveniente da animali a fine carriera o allevati in aree paludose o con diete non bilanciate, considerata scadente era proposta come carne di bufala, contribuendo a sfiduciare consumatore nei confronti del prodotto”. In realtà, a parità di età la carne di bufalo presenta una migliore ritenzione idrica rispetto a quella bovina, ed è più succosa e tenera (Infascelli “La carne di Bufalo” 2008). La resa alla macellazione è inferiore rispetto al bovino e questo comporta costi di produzione maggiori che non aiutano l’allevatore. Questo aspetto, insieme alla frammentazione della produzione e alla stagionalità che rende difficile una fornitura costante alla grande distribuzione, limitano il processo di valorizzazione della carne, anche se la situazione è in via di miglioramento .
La crescente diffusione di seme sessato nelle operazioni di inseminazione assistita è un elemento che potrebbe limitare le nascite dei bufalini maschi. Il condizionale è d’obbligo, perché si tratta di un sistema di fecondazione che non è molto in uso rispetto agli allevamenti di bovini. Il sistema che permette di selezionare il sesso favorendo la nascita di femmine sta cominciando a diffondersi, anche grazie a studi (Campanile et al 2011; Campanile et al. 2013) che dimostrano gli stessi indici di fertilità del seme convenzionale. “Non si tratta di una soluzione definitiva – osserva Vecchio – perché in questo modo si rischia di avere un surplus di femmine. La soluzione ottimale è la corretta programmazione del fabbisogno di latte e di carne, per tutelare la qualità di un prodotto prestigioso come la mozzarella di bufala garantendo al contempo il benessere degli animali”.
Il Fatto alimentare – 28 marzo 2018