Via libera senza osservazioni della Bilancio al Jobs act, e la commissione Lavoro della Camera chiude così l’esame del ddl delega di riforma del mercato del lavoro, che questa mattina approda in Aula. Il provvedimento, dopo i 37 emendamenti approvati in sede referente, è sostanzialmente blindato, e ancora ieri il ministro Giuliano Poletti ha confermato come la fiducia sia «un’ipotesi in campo», lasciando però intendere che la decisione finale verrà presa «in base all’andamento dei lavori parlamentari». Certa è la contrarietà di Forza Italia, visto che ieri Silvio Berlusconi ha detto che la misura «non porterà un posto di lavoro in più».
La volontà dell’Esecutivo è correre: «Abbiamo l’esigenza di riorganizzare il mercato del lavoro dall’inizio di gennaio perché abbiamo investito, nella legge di stabilità, parecchie risorse», ha detto il responsabile economico del Pd, Filippo Taddei; e a Montecitorio si dovrà chiudere entro il 26 novembre (il passaggio al Senato, in terza lettura, sarà rapidissimo). Anche perché ministero del Lavoro e palazzo Chigi sono già impegnati «nella predisposizione dei materiali utili alla redazione degli schemi dei relativi decreti attuativi», fanno sapere da Via Veneto. Il primo Dlgs a essere varato sarà quello che introdurrà, per i nuovi assunti, il contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti. Qui si interverrà sull’articolo 18, e nel caso di licenziamento per motivo economico o organizzativo (si pensa di ricomprendere pure lo scarso rendimento) la tutela sarà monetaria (niente più reintegro). Si starebbe pensando a un doppio binario, un indennizzo economico fino a un massimo di 1,5 mensilità per ogni anno di servizio fino a un tetto di 36 mensilità; con la possibilità per l’impresa di versare spontaneamente un’indennità al lavoratore licenziato (una mensilità per ogni anno di servizio, con un limite di 24 mensilità). Il Dlgs sul contratto a tutele crescenti dovrebbe contenere anche le nuove regole per i licenziamenti disciplinari, con la tutela reale limitata a specifiche fattispecie, molto gravi, assimilabili alla discriminazione (si veda Sole di ieri). La struttura delle tutele crescenti mostra delle criticità, che vanno risolte. La prima è che il ddl delega, nell’escludere la tutela reale, parla genericamente di «licenziamenti economici». Va chiarito che oltre agli individuali si parla anche dei collettivi, che per definizione sono di natura economica. Poi, c’è l’ipotesi del tetto all’indennizzo a 36 mesi. Un’asticella piuttosto elevata (per le imprese), che è pensata come”incentivo” a sfruttare di più la conciliazione. Apatto però di renderla più appetibile. Oggi se l’accordo sulla risoluzione consensuale del rapporto di lavoro è concluso presso la direzione provinciale del lavoro, al lavoratore spetta l’Aspi. Se l’accordo sul licenziamento è fatto in sede sindacale no, e neanche si possono dare soldi per incentivare l’esodo. Sarebbe quindi opportuno che anche in sede sindacale si possano firmare accordi di risoluzione consensuale, ammettendo l’Aspi e gli incentivi all’esodo che, peraltro, sono fiscalmente e previdenzialmente convenienti per il lavoratore.
Il Sole 24 Ore – 21 novembre 2014