«Potrebbe essere un pentimento storico, capace di aprire squarci sul mondo politico e imprenditoriale. Spesso le mafie sono la manovalanza di poteri più forti. Iovine ci sta dicendo che gli imprenditori lo andavano a cercare. Anche per la mafia bisognerebbe avere il coraggio di adeguare la legge ai tempi».
«Non c’è qualcuno che abbia poteri salvifici né che abbia la bacchetta magica». Il presidente dell’Autorità anticorruzione, Raffaele Cantone, replica a chi lo chiama «San Cantone», rispondendo alle domande di Liana Milella sul palco della “Repubblica delle Idee”. Cantone non è un santo, ma ha le idee chiare.
Ha incontrato Renzi a Napoli: che gli ha detto?
«Fate i vostri giochi, ma ricordati che ci siamo anche noi e chiediamo garanzie».
Il premier ha promesso che sarà varato un provvedimento sulla corruzione che prevede poteri precisi all’Autorità anticorruzione. Cosa si aspetta?
«Politica è la decisione su cosa deve controllare l’Autorità. È Renzi che deve decidere se possiamo ficcare il naso negli appalti già assegnati o se ci dobbiamo muovere solo sui nuovi appalti. E politica è la scelta di come dobbiamo muoverci e cosa cercare. Voglio dire, il controllo cosa deve riguardare? Deve essere una specie di timbro, come una revisione — spesso falsa — o deve avere un senso?» Non esistono bacchette magiche, ma esistono obiettivi, dunque. Da dove si comincia?
«La corruzione esiste in tutti gli Stati occidentali ed è molto difficile da prevenire. L’azione di contrasto è molto più difficile di quella alla camorra perché spesso gli appalti truccati, sul fronte del rispetto formale delle regole, sono perfetti. Ma qualcosa si può fare, con le norme adatte e correggendo la legge sugli appalti che è fatta male».
Qual è una buona legge sugli appalti?
«Uno dei problemi è quello delle deroghe: perché ormai riguardano praticamente tutti i grandi appalti e perché di lì passano le camarille, le revisioni che gonfiano i capitolati e le consulenze agli amici degli amici alla base del sistema corruttivo».
Torniamo alle sue priorità.
«Per i vecchi appalti capire che margini d’azione abbiamo. Per i nuovi rivedere e ispirare a norme di trasparenza bandi, commissioni, aggiudicazioni ed esecuzioni. Una delle questioni da affrontare da subito, per esempio, è quella della trasparenza nella scelta delle commissioni di gara. Basterebbero degli elenchi di docenti universitari e membri di ordini professionali da cui sorteggiare i membri».
Quale volto ha la corruzione che lei vuole combattere?
«La corruzione tradizionale, quella con il passaggio di mazzette non esiste più, o quasi. Nel Mose sta emergendo un sistema rodato a trecentosessanta gradi. Ma siamo onesti: non è che se cambiamo le leggi, le persone diventano brave. E molte leggi ci sono già. Una parola chiave per me è la trasparenza».
Il Daspo per gli imprenditori come per i politici corrotti è una buona arma?
«Per i nuovi appalti c’è già una norma nella legge Severino che consente alle stazioni appaltanti di cacciare a calci nel sedere chi non rispetta il patto di integrità. La norma c’è, ma non è applicata. La cacciata dalle gare per le imprese “inquinate” è un obbligo, ma è anche una questione tra le più delicate. Di certo si possono creare meccanismi per cui l’imprenditore che ha corrotto non ottenga vantaggi dal reato compiuto. Per la revoca degli appalti poi ci vuole una legge».
Il falso in bilancio va ripristinato?
«Si, con una pena a cinque anni. Il vero tema è quello dei tempi di prescrizione che sono inaccettabile. Comunque ricordiamoci che l’abolizione del falso in bilancio non è stata voluta solamente da Berlusconi. Il mondo dell’imprenditoria ha fatto festa. Dopo Tangentopoli pezzi di classe dirigente hanno fatto di tutto per smontare il sistema dei controlli, la politica è stata solo il braccio operativo ».
Come la corruzione, anche la camorra è cambiata. Il pentimento del boss di Gomorra, Iovine, sta aprendo scenari inaspettati.
Il Sole 24 Ore – 8 giugno 2014