È donna di passione e coraggio, ricercatrice e madre, un volto internazionale. Ha vinto il “Penn Vet World Leadership Award” nel 2007, il premio più prestigioso nel campo della medicina veterinaria. È Ilaria Capua, direttrice del dipartimento di Scienze Biomediche comparate dell´Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie, che è composto da 75 ricercatori e svolge ricerche in progetti europei e internazionali.
“I virus non aspettano” è il titolo del suo libro, edito da Marsilio, che presenterà stasera a Valdagno alle 20.30 a palazzo Festari, per gli incontri di Guanxinet.
Perché la scelta di scrivere un libro divulgativo?
Sentivo la necessità di umanizzare la figura del ricercatore per far capire al pubblico che la professione è impegnativa, ma anche divertente e permette di vivere una vita di sorprese: c´è l´opportunità di girare il mondo, di conoscere, di confrontarsi.
Lei dimostra che con impegno e costanza una donna può unire lavoro e famiglia. Vuole essere d´esempio?
L´ho scritto anche per le donne, non come esempio, piuttosto come testimonianza. Non ho la presunzione di essere un esempio, non voglio essere altisonante: nella vita ho fatto tante cose buone, ma anche tanti sbagli. Non voglio pormi come depositaria unica di una soluzione o creare l´effetto “Condoleezza Rice”. Sono una testimonianza di una donna che si è data da fare, ho raggiunto dei risultati inaspettati: si può fare e si può essere sia donne impegnate nel proprio lavoro che madri, per altro anche questo un viaggio meraviglioso.
Mette in mostra i limiti del nostro Paese, ma emerge anche spesso il suo orgoglio di essere italiana….
Sento un forte senso di appartenenza nei confronti del mio Paese: l´Italia ha delle grandi potenzialità anche nel mondo della ricerca, nel quale non è molto quotata. Ogni giorno mi impegno affinché questa dimensione della competitività italiana sia pronta a nuove sfide. Sono orgogliosa e ce la metto tutta, ma facendo delle salite erculee che lasciano senza fiato e spesso con l´amaro in bocca. È impegnativo e faticoso: nel mio gruppo ci sono 40 precari e trovare finanziamenti per far lavorare queste 40 persone è difficile in un ambiente ingessato.
Passione e coraggio sono sue caratteristiche. Sono questi i motori che dovrebbero muovere i giovani?
Il consiglio che io do ai giovani è di guardare dentro se stessi e di trovare il proprio talento. E poi fare di tutto per giocarsi la carta del talento. La cosa peggiore che i giovani possono fare è quella di accontentarsi, lasciando in questo modo passare il tempo. Quello che mi sento di dire ai giovani è anche di essere più dinamici, di osare di più, di muoversi: le opportunità non sono tutte nel giardino di casa.
La mancanza di mobilità è un problema di cultura?
Gli italiani sono poco mobili. A casa hanno una famiglia che li sostiene, una mamma affettuosa, un giro di amici. La tragedia è che mentre i nostri ragazzi rimangono nell´ambiente in cui sono cresciuti, il resto del mondo no. Del resto è difficile trovare un Paese nel quale la qualità della vita sia migliore dell´Italia. Bisogna che i ragazzi credano di più in loro stessi:se non ci si muove a 25 anni, quando ci si muove?
Il futuro della ricerca in Italia?
La ricerca ha bisogno di un´attenzione particolare. In Italia non ci sono mai stati tanti soldi per la ricerca, ma i ricercatori di livello riescono comunque a trovare fondi all´estero. Come facciamo nel mio centro. Però non può essere che tutti sia sulle spalle di chi è intraprendente. Bisogna che questi centri di eccellenza vengano protetti insieme ai ricercatori eroici che li rendono competitivi. Se li perdiamo è finita.
Il Giornale di Vicenza – 26 ottobre 2012