Nei giorni scorsi a Milano presso la Fondazione Stelline ed entro il VII Forum Internazionale di Nutrizione Pratica, è stato presentato il Rapporto “Il ruolo della carne in un’alimentazione equilibrata e sostenibile”.
Il dossier è stato realizzato entro un team di esperti di varie discipline, e arriva a sfatare molti dei miti attualmente diffusi sulla carne. Che rimane un alimento centrale per lo sviluppo dell’uomo: non a caso, si ritiene comunemente che grazie ad un maggiore apporto di proteine l’uomo sia stato evolutivamente in grado di acquisire la posizione eretta e una funzionalità cerebrale “moderna”. Di passare dai 640 centimetri cubi dell’ Homo Habilis, ai 940 dell’ Homo Erectus, fino ai 1230 cc dell’ Homo sapiens.
Quali sono questi “miti” o l’esagerazione di alcuni aspetti riferiti alla carne? Vediamone alcuni:
1. Gli italiani mangiano troppa carne. L’abbandono di modelli alimentari mediterranei ha portato ad un consumo indiscriminato di carne
2. La carne provoca malattie di varia natura, percui è bene cercare di limitarla il più possibile. La carne contiene grassi animali dannosi
3- Consumare carne provoca una distruzione eccessiva delle risorse preziose per il pianeta, come acqua e suolo
4. la produzione di carne implica sofferenza animale inutile e insopportabile
La premessa
Andrea Ghiselli, responsabile della comunicazione istituzionale del CRA (Centro di Ricerca in Agricoltura), chiarisce: “l’elevato apporto proteico, nonché di minerali quali ferro e zinco in forma altamente biodisponibile, sono le principali caratteristiche nutrizionali di carne e derivati. Inoltre apportano vitamina B12, irreperibile negli alimenti di origine vegetale ed essenziale durante tutte le fasi della vita. Come per ogni alimento, anche per la carne è necessario asumerne una quantità adeguata: il peso di una porzione dipende dall’alimento (carne=100g; salumi= 50), ed una buona frequenza di consumo potrebbe essere 4-5 volte la settimana per le carni e 1-2 volte per i salumi. Si rivela particolarmente benefica la concomitante assunzione, durante il pasto, di prodotti di origine vegetale quali cereali, meglio se integrali, verdure e frutta”.
Mito numero 1: gli italiani consumano troppa carne.
Se è certamente vero che l’abbandono di modalità di alimentazione mediterranee è un fenomeno di lungo corso, con un accresciuto ruolo negli ultimi decenni delle proteine animali, è però anche vero che negli ultimissimi anni vi è una apparente diminuzione dell’assunzione di carne: nel 2009 infatti un italiano aveva a disposizione 90,7 kilogrammi di carne, contro i 91,6 del 2000 e gli 85,6 del 1990. Negli ultimi dieci anni si è arrivati quindi –dopo diversi decenni di aumento nei consumi- ad una flessione dei consumi. Se in parte il fenomeno sembra dovuto alla crisi economica e riveste un carattere congiunturale, d’altro canto aspetti emergenti di consapevolezza alimentare hanno portato un consumo più consapevole. Inoltre gli italiani in base ai dati di assunzione EFSA, rimangono una popolazione relativamente fedele alla dieta mediterranea, con 113 g procapite al giorno di consumo di carne. Valore tra i più bassi, superiore solo a Svezia (83 g) e Regno Unito (107 g), ma di gran lunga inferiore a Ungheria (186 g), Repubblica Ceca (185 g), Spagna (180 g), Irlanda (169 g) e Francia (139 g).
Mito numero 2: la carne provoca malattie e va limitata.
E’convinzione comune che la carne in particolare rossa provochi un aumento di alcune malattie come ad esempio il cancro al colon- o un aumento di marker negativi per la salute come il colesterolo, in ragione di grassi saturi. Diversi istituti anche di rilievo, come il World Cancer research Fund ed il British Cancer Institute, segnalano di conseguenza una quantità di carne rossa da limitare. In particolare, non bisognerebbe eccedere i 100-120 grammi al giorno, con un aumento significativo del rischio oltre i 160 grammi di carne rossa al giorno.
In realtà le evidenze oggi disponibili non consentono di trarre conclusioni affrettate. Intanto buona parte degli studi sono di tipo epidemiologico, fornendo quindi prove sperimentali “deboli” e non sono in grado di stabilire chiare relazioni di causalità. Inoltre il rischio associato al consumo di carne rossa rimane basso, molto al di sotto di quello relativo ad altri fattori di rischio, come ad esempio il fumo. Infine, tale rischio può essere apparente, cioè il consumo di carne in realtà può nascondere o portare altri fattori di rischio come: la sostituzione di frutta e verdura (protettive nei confronti del cancro colo rettale); un alto apporto energetico; la cottura in barbeque, con formazione di idrocarburi policiclici aromatici, notoriamente cancerogeni, o di nitrosamine –che parimenti si formano durante la cottura o la lavorazione delle carni.
Inoltre nelle sue valutazioni, il World Cancer Research Fund ha omesso 13 studi di coorte, che coinvolgevano circa 1,6 milioni di persone, tra cui un ampio studio condotto dall’American Cancer Society- 11 dei quali non hanno rinvenuto nessuna associazione significativa tra consumo di carne rossa e cancro.
Ad un confronto poi tra vegetariani e onnivori ( e stratificando per altre variabili influenti), non è stato possibile rinvenire alcuna differenza nella mortalità dovuta a cancro colorettale. Stando ad una revisione sistematica condotta da Alexander D. et al. (2011) su 34 studi, le conclusioni portano ad affermare che i dati epidemiologici attualmente disponibili non sono sufficienti per supportare una indipendente e univoca l’ associazione positive tra consumo di carne rossa e cancro al colon. Certo una quantità superiore ai 100 g non è comunque quella raccomandata. Ma contano molto aspetti che finora non sembrano essere stati adeguatamente presi in considerazione, come ad esempio la cottura alla griglia, responsabile della formazione di composti di glicazione (Advanced Glycation Endproducts) con comprovate attività cancerogene. Sul profilo nutrizionale della carne inoltre bisogna rassicurare i consumatori che, grazie ad una selezione delle specie allevate e con tecniche di allevamento innovative, la carne italiana risulta avere una quantità di grassi non solo molto più bassa rispetto al passato, ma anche con un bilanciamento dei grassi più favorevole ( meno grassi saturi e più grassi insaturi). Nel dossier si legge anche che la distinzione tra carni rosse e bianche è ormai superate e sarebbe più sensato distinguere semplicemente tra tagli magri e grassi delle diverse specie.
Mito numero 3: Consumare carne provoca una distruzione eccessiva delle risorse preziose per il pianeta, come acqua e suolo
In base a recenti e aggiornate stime circa il consumo effettivo di risorse, come ad esempio l’impronta idrica (o “water footprint”), la carne ne esce rivalutata se inserita in un modello alimentare corretto.
Così conferma Ettore Capri, professore della Università Cattolica di Piacenza e Direttore del Centro di Ricerca sullo Sviluppo sostenibile in Agricoltura OPERA: “ Prendiamo come esempio il water footprint, cioè l’impronta idrica della carne: se confrontiamo l’impatto produttivo di un kg di carne con un kg di frutta, la frutta può sembrare un alimento “buono” e la carne un alimento “cattivo”. Ma nel contesto di una alimentazione equilibrata, un italiano consuma un kg di frutta in poco più di due giorni, mentre un kg di carne rossa è “sufficiente” per 5 settimane. Questo significa che l’impatto di questi due alimenti è praticamente equivalente nel nostro sistema alimentare”.
Inoltre se si alterna carne rossa con carne bianca, l’impatto ne risulta decisamente più basso in ragione della minore impronta idrica del pollame.
Mito 4 il Consumo di carne implica una sofferenza animale inutile
L’Europa ha una legislazione attenta al benessere e alla salute animale, con atti normativi immediatamente validi in tutto il territorio comunitario. Ciò implica non solo condizioni ben definite di allevamento e stabulazione degli animali, con una superficie a disposizione per ogni capo che va rispettata. Ma anche tecniche precise di stordimento e macellazione degli animali, per limitare al minimo la sofferenza e avere elevati livelli di benessere. L’Unione europea, in base a quanto riporta EFSA, “vanta tra i più elevati standard di benessere animale al mondo”. Il quadro di azione dell’Unione europea è compreso nella Strategia dell’UE per la protezione e il benessere degli animali 2012-2015. Norme armonizzate sono in vigore per numerose specie animali. La direttiva 98/58/CE del Consiglio stabilisce norme minime per la protezione di tutti gli animali negli allevamenti, mentre altre norme UE definiscono gli standard di benessere degli animali da allevamento durante il trasporto e al momento dello stordimento e della macellazione. Direttive specifiche riguardano la protezione di singole categorie animali quali i vitelli, i suini e le galline ovaiole. EFSA da 10 anni sta lavorando attivamente per migliorare il benessere e la salute degli animali. In particolare, armonizzando gli indicatori per misurare il livello di sofferenza o benessere degli animali. Se la legislazione si incentra prevalentemente su indicatori indiretti del benessere animale (come le condizioni ambientali in cui vivono) un nuovo approccio (alternativo o complementare) sta portando alla ribalta una misurazione più precisa e con indicatori diretti sullo stato di benessere dell’animale.
Certo poi l’applicazione delle norme è un’altra cosa rispetto alle norme stesse, così come scelte individuali sono comunque rispettabili. Ma il contesto regolatorio consente di stabilire in ogni caso alcuni punti fermi.
In conclusione: la carne è una fonte importante si aminoacidi essenziali e vitamine, e non è facilmente sostituibile con sole proteine vegetali. Soprattutto per bambini in fase di crescita pertanto, la carne è fondamentale per garantire un corretto sviluppo. Recenti studi (come quello del Prof Nisoli) sottolineano inoltre il ruolo degli aminoacidi essenziali nel garantire i presupposti di una buona qualità della vita nell’anziano. Insomma, la chiave sembra essere il non esagerare, variando l’alimentazione e seguendo un modello “mediterraneo”.