La nuova legge che ha recepito il reato di «corruzione tra privati» invocato dall’Europa a tutela della libera concorrenza sui mercati? Una norma dall’«accertamento a dir poco problematico», «ambiguamente posta» in relazione ad altri profili, che veste di un diverso nome una norma già esistente, e che come conseguenza ha quella di «privatizzare la tutela» in modo «difficilmente coincidente con gli obiettivi» delle Convenzioni dell’Onu e del Consiglio d’Europa «che erano quelli di reprimere tout court la corruzione privata in quanto minaccia per la stabilità e la sicurezza sociali».
Sotto l’asettico tono di 21 pagine di relazione, l’Ufficio studi della Cassazione — oltre ad additare alcune potenziali trappole insite nella riformulazione della «corruzione impropria», e segnalare le «non poche complicazioni» di cui sarà «foriera la compresenza nel sistema di tre previsioni delittuose tra loro contigue» come «corruzione-induzione indebita—concussione» — in particolare boccia seccamente la scrittura del nuovo reato di «corruzione tra privati». Quest’ultimo era uno dei due fiori all’occhiello del governo Monti per accreditare la bontà di quel poco che i veti politici incrociati avevano fatto sopravvivere nella parte della legge dedicata alla repressione (quella sulla prevenzione resta la migliore): e cioè l’idea che la legge — pur rinunciando di nuovo al falso in bilancio, all’autoriciclaggio, al voto di scambio non solo in denaro, e soprattutto alla revisione del computo della prescrizione —, almeno facesse finalmente adeguare l’Italia agli obblighi contratti con le Convenzioni di Merida e di Strasburgo, giacché introduceva le due nuove fattispecie di «corruzione tra privati» e «traffico di influenze illecite». Per come è scritta quest’ultima, il Massimario della Cassazione (cioè l’Ufficio studi) mette in guardia dalla «possibilità, tutt’altro che remota, di ritenere sanzionate condotte» che in altri Paesi sarebbero «del tutto lecite», come «l’azione dei gruppi di pressione per conto di portatori di interessi particolari a favore dell’introduzione o dell’abrogazione di leggi».
Più radicale la critica al testo sulla «corruzione tra privati», il reato ad esempio del fornitore che paga una tangente al dirigente di una impresa affinché lo privilegi nella gara per una commessa. Mentre l’iniziale stesura prevedeva che fosse perseguibile d’ufficio, le «forti resistenze, soprattutto nel mondo imprenditoriale, dopo una estenuante mediazione» hanno invece propiziato «una soluzione di compromesso»: il reato è procedibile a querela della società che subisce il danno, «a meno che dal fatto derivi una distorsione della concorrenza nella acquisizione di beni o servizi». Solo che questo ulteriore evento del reato è per la Cassazione di «problematico (a dir poco) accertamento»; ed è «ambiguamente posto in rapporto di derivazione causale con il fatto nel suo insieme», per cui «si potrebbe giungere a sostenere che la distorsione della concorrenza debba dipendere dal nocumento patrimoniale subito dalla società», danno che resta imprescindibile anche qualora il reato diventi perseguibile d’ufficio.
Su questo punto, insomma, la legge sarebbe un caso di truffa delle etichette, cambierebbe solo nome alla vecchia «infedeltà patrimoniale» del 2002: «L’attitudine del novum legislativo a soddisfare pienamente i vincoli internazionali gravanti sul legislatore è quantomeno dubbia», è l’impietoso giudizio del Massimario della Cassazione, perché «al mutamento del nomen iuris del reato» di infedeltà patrimoniale «non è corrisposta una effettiva trasformazione del suo contenuto» sotto questo cruciale profilo.
«Dunque» anche con la nuova legge «non siamo di fronte alla generalizzata incriminazione della corruzione privata, come annunciato» dal legislatore: al contrario, «l’intervento rimane circoscritto alle società commerciali, e continua a punire la corruzione non in quanto tale» ma «solo nella misura in cui essa determini una lesione del patrimonio delle società». Con la perniciosa conseguenza che così l’impresa «conserva nella maggior parte dei casi il potere di decidere se i comportamenti corruttivi debbano o meno essere puniti: siamo nuovamente di fronte ad una vera e propria privatizzazione della tutela, che appare difficilmente coincidere con gli obiettivi delle Convenzioni internazionali».
Corriere della SEra – 17 novembre 2012