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Cassazione. Non punibili false dichiarazioni per non rischiare il posto

Niente favoreggiamento sul lavoro. Quando il fatto è commesso per mettere al riparo la propria libertà da un danno scatta l’esimente prevista dal Codice penale

IL FATTO Imputati i colleghi di un operaio edile che avevano negato fosse stato vittima di un infortunio in cantiere.

Non compie favoreggiamento personale, punito dall’articolo 378 del Codice penale, il lavoratore che, per non compromettere la propria libertà, cioè nello specifico per evitare un’incriminazione o per non perdere il posto di lavoro, dà false dichiarazioni che aiutano il datore a eludere indagini a proprio carico. Questo il contenuto saliente della sentenza della sesta sezione penale della Corte di cassazione n. 37398 del 17 ottobre 2011. Un lavoratore edile s’infortuna e suoi colleghi, in un primo tempo, negano, alla Polizia giudiziaria, di averlo visto lavorare in cantiere e l’avvenuto infortunio. Emersa la verità, sono incriminati per favoreggiamento. I giudici di primo grado, tuttavia, assolvono i lavoratori, applicando l’articolo 384, comma i, del Codice penale che esso esclude la punibilità di colui che commette taluni reati, tra i quali il favoreggiamento personale, per evitarsi un processo penale o senza dolo. La corte di appello, interpretando diversamente la norma, condanna due lavoratori, i quali ricorrono in Cassazione, sostenendo un’erronea applicazione, nel secondo grado, della legge. Vengono così in campo i Giudici di legittimità che, innovando sulla precedente giurisprudenza di Cassazione, pongono, come chiave interpretativa della norma sulla non punibilità, il principio secondo cui per applicare correttamente la disposizione occorre comparare gli interessi che si fronteggiano. E cioè, da un lato, l’interesse dello Stato a punire fatti il favoreggiamento personale e, dall’altro lato, l’interesse, emergente nel caso specifico, dell’individuo. Ove tale ultimo interesse risulti essere di «libertà» vale la regola della non punibilità. I giudici della Cassazione applicano il criterio suddetto alla posizione giuridica del primo lavoratore e ritengono, sulla base del giudizio di appello, che egli abbia detto il falso per salvaguardare la propria libertà, potendo, altrimenti, essere incriminato per altro reato. L’esimente di cui all’articolo 384, comma i, dunque, si applica e la decisione di secondo grado è da censurare per erronea applicazione della norma. Più complessa la ponderazione rispetto al secondo lavoratore: da un lato, vi è l’interesse statuale a punire il favoreggiamento e, dall’altro lato, emerge l’interesse dell’individuo di (non dire il vero per) non perdere il lavoro. A questo proposito la Cassazione s’interroga: ai fini dell’articolo 384 comma i, l’interesse al lavoro ha un valore giuridico pari a quello che ha l’amministrazione della giustizia a non essere fuorviata? La conclusione è affermativa: il diritto al lavoro, in quanto strumento di crescita della personalità individuale, è esplicazione della «libertà» personale e, quindi, rientra nell’applicazione dell’articolo 384, comma i. Tale diritto al mantenimento del lavoro, aggiunge la Cassazione, va, però, analizzato, caso per caso, dai giudici di merito, per valutare se il dire la verità avrebbe potuto o meno compromettere la situazione esistenziale e lavorativa del lavoratore (considerando, ad esempio, se egli sia dipendente a tempo indeterminato o piuttosto un precario; se abbia o no persone a carico). Attenzione, dunque, a intendere bene la sentenza: non un via libera a dire il falso per aiutare il datore, ma comprensione solo verso chi lo fa per salvaguardare, effettivamente, la propria libertà personale.

La sentenza in pillole

01 I LA FATTISPECIE II reato di interruzione di un ufficio o servizio pubblico odi pubblica necessità, di cui all’articolo 340 del Codice penale, è reato di evento la cui consumazione richiede un pregiudizio effettivo (e non necessariamente di particolare rilievo) nella continuità o nella regolarità di un servizio pubblico odi pubblica necessità

02 I REGOLARITÀ GARANTITA Ai fini della integrazione dell’elemento oggettivo del reato previsto dall’articolo 340 del Codice penale, non ha rilievo che l’interruzione sia stata temporanea o che si sia trattato di un mero turbamento nel regolare svolgimento dell’ufficio o del servizio, atteso che la predetta fattispecie incriminatrice tutela non solo l’effettivo funzionamento di un ufficio, ovvero di un servizio pubblico odi pubblica necessità, ma anche il suo ordinato e regolare svolgimento

03 I BASTA UN SETTORE Il reato in questione si realizza anche se l’interruzione o il turbamento della regolarità dell’ufficio o del servizio siano temporalmente limitati e coinvolgano solamente un settore e non la totalità delle attività

04 I ALTERAZIONE TEMPORANEA Anche la condotta che determini una temporanea alterazione, purché oggettivamente apprezzabile, nella regolarità del servizio è idonea a realizzare l’azione esecutiva del delitto in questione

ilsole24ore.com – 7 novembre 2011

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