La Cina è diventata importatrice di riso perché non riesce più a coltivarne a sufficienza. Da qui la necessità di sviluppare nuove tecniche di coltivazione e nuovi semi. E dove la ricerca non arriva, possono supplire le spie che rubano i segreti altrui
Il primo caso avvenne in Iowa, nel maggio del 2011. Il manager di una grande campo coltivato notò un cinese che stava inginocchiato fra le piante, e andò a chiedere chi fosse. L’uomo, che si chiamava Mo Hailong, disse di essere uno studioso della University of Iowa, diretto ad un convegno poco lontano. Appena il manager si fermò per rispondere ad una telefonata sul cellulare, Mo saltò sulla propria auto e scappò.
Quello non era un campo qualunque, ma un centro di ricerca della DuPont, dove si sviluppavano i semi per un tipo di mais particolarmente nutritivo e resistente. Quindi il manager aveva dato l’allarme, coinvolgendo persino l’Fbi. Il Bureau aveva messo sotto sorveglianza il signor Mo, che viveva in Florida e lavorava come mercante di semi, e aveva scoperto che in realtà il suo referente era il Beijing Dabeinong Technology Group, cioè un gruppo cinese impegnato nello sviluppo delle nuove tecnologie agricole. Qualche tempo dopo era stato arrestato, con l’accusa di trasferire a Pechino semi particolari sviluppati dai ricercatori americani.
E’ stato solo il primo caso, perché da allora gli agenti cinesi arrestati con la stessa accusa sono saliti a circa una decina. Lo spionaggio agricolo infatti sta emergendo come la nuova frontiera delle attività illecite di Pechino, dopo quello nei settori ritenuti più strategici come la difesa o la tecnologia digitale. Il problema è che la popolazione cinese continua a crescere, e le risorse alimentari faticano a tenere il passo di questa esplosione demografica. Basti pensare che la Cina, assimilata per antonomasia alla produzione del riso, è diventata una importatrice dei preziosi chicchi, perché non riesce più a coltivarne una quantità sufficiente a soddisfare i consumi dei suoi cittadini. Da qui la necessità di sviluppare nuove tecniche di coltivazione e nuovi semi. E dove la ricerca locale non arriva, possono supplire le spie che rubano i segreti altrui.
Creare uno di quei semi che il signor Mo voleva portare via dall’Iowa costa tra cinque e otto anni di lavoro, e almeno 40 milioni di dollari da investire negli studi. Rubarli a chi li ha già prodotti è più semplice, rapido ed economico. L’allarme degli americani ormai è tale, che l’Fbi ha allertato i servizi segreti dei paesi amici, affinché si proteggano dallo spionaggio agricolo cinese e aiutino i colleghi americani nelle indagini. Gli agenti americani chiedono agli europei di tenere sotto controllo i sospettati cinesi, verificare se hanno attirato l’attenzione nei loro paesi con qualche comportamento illecito, in sostanza pedinarli a livello globale. E’ la nuova frontiera della sfida fra le potenze internazionali, in un mondo dove la lotta per le risorse naturali sta diventando un terreno strategico di confronto.
La Stampa – 2 aprile 2014