L’Italia perde posizioni nella classifica europea della competitività e viene superata non solo dai Paesi del Nord Europa ma persino da Portogallo, Cipro, Repubblica ceca, Estonia e Slovenia. Lo dice un rapporto della Commissione Ue.
E purtroppo il declino si auto-alimenta: scivoliamo sempre più nella crisi proprio perché siamo meno competitivi, ma poi la crisi stessa peggiora la nostra competitività perché (ad esempio) ci toglie quelle risorse per gli investimenti che sarebbero necessarie a rilanciare le infrastrutture.
Come se ne esce? Il rapporto non lo dice, salvo dare un’indicazione implicita: quelli che non brillano (fra cui purtroppo noi) imitino le ricette dei migliori, cioè di quelli che occupano le posizioni più alte della classifica.
Per essere precisi, la graduatoria della Commissione Ue non è fatta per Stati ma per Regioni; ci figura, per dire, la Lombardia come campione nazionale italiano, un campione che nel precedente rapporto 2010 sulla competitività risultava alla posizione 95 e ora è scivolato alla 128. Poi vediamo l’Emilia Romagna retrocessa dal posto 121 al 141, il Lazio dal 133 al 143, il Veneto dal 146 al 158. Di fatto la classifica per Regioni diventa anche una classifica per Stati perché la Commissione stila anche una media nazionale da cui risulta il confronto perdente fra l’Italia e la manciata di Paesi citati all’inizio. In complesso l’Italia è diciottesima in classifica sui 27 Stati dell’Unione.
La Commissione segnala che fino a pochi anni fa si poteva disegnare sulla carta dell’Europa una «banana» della competitività che partiva dalla regione di Londra, poi inglobava l’Olanda e scendeva lungo la valle del Reno fino a raggiungere Lombardia e Piemonte. Adesso nessuna Regione italiana rientra in questa geografia dell’eccellenza (in particolare il Piemonte si deve accontentare delle posizione numero 152) e la «banana» non si vede praticamente più, perché la competitività si è allargata ad altre zone della Gran Bretagna, della Germania (inclusa la ex Ddr) e della Scandinavia meridionale.
La Regione più competitiva d’Europa risulta quella di Utrecht, e l’Olanda piazza fra i primi dieci posti altre due delle sue Regioni, a testimonianza che in questa classifica contano i fattori locali ma anche e soprattutto quelli nazionali; la regola trova conferma con l’Inghilterra, che colloca Londra al secondo posto assoluto e altre due sue Regioni fra le prime dieci. Poi fanno bella figura Stoccolma quarta, Francoforte settima, Parigi ottava e Copenaghen nona.
Dieci o dodici Regioni italiane si concentrano nella fascia intermedia, e sette si piazzano più giù della duecentesima posizione, con la Calabria e la Sicilia fanalino di coda nazionale, rispettivamente 233esima e 235esima su 262. Ultime in assoluto della classifica generale sono la bulgara Severozapaden e alcune zone depresse romene e greche.
La Commissione raccomanda di essere cauti nei confronti fra il 2010 e il 2013 perché alcuni parametri sono stati modificati. Ma nel complesso la fotografia è affidabile e impietosa per l’Italia, incluso il suo Nord che dovrebbe fare da traino al Paese e invece arretra.
C’è un risvolto da segnalare: nonostante una sostanziale riduzione del bilancio dell’Ue 2014-2020 rispetto al precedente, l’Italia è riuscita a strappare più o meno la stessa cifra del passato, con pochi tagli, proprio perché le sue Regioni, anche le più sviluppate, hanno problemi.
In base a quali parametri è stata stilata la classifica? Ce ne sono tanti, fra cui le infrastrutture, il sistema sanitario, l’istruzione, l’efficienza del mercato del lavoro e l’innovazione tecnologica e la capacità di recepirla.
La Stampa – 25 agosto 2013