Sulla debolezza della Pa che si affaccia alla sfida della ricostruzione si concentrano le ansie di chi nel governo lavora al Recovery Plan. Ansie che nel Conte 2 non erano riuscite a tradursi in un progetto organico di riforma. E proprio su questo progetto, delineato ieri dal ministro della Pa Renato Brunetta nell’audizione parlamentare sulle linee programmatiche, l’esecutivo Draghi si gioca una fetta importante del proprio successo. Su cui chiama a raccolta i sindacati nel «Patto per l’innovazione del lavoro pubblico e la coesione sociale» che sarà firmato oggi a Palazzo Chigi dal premier Draghi insieme al titolare di Palazzo Vidoni. Il Patto si concentra su contratti, assunzioni e carriere. E chiede ai sindacati di accantonare la fase di protesta culminata nello sfortunato sciopero di fine anno, in cambio di un’alleanza per cambiare la Pa e di un’accelerazione del rinnovo contrattuale. Sul punto Brunetta ha promesso una convocazione a breve, forse già fra domani e venerdì, per avviare le trattative su come destinare i 6,7 miliardi a disposizione, creando un meccanismo più flessibile di carriere che abbandonerebbe le griglie dei mansionari ma anche i tetti del 2017 ai premi in busta paga: purché, naturalmente, si costruisca un sistema di valutazioni in grado di superare l’egualitarismo perseguito fedelmente fin qui.
Uno degli interventi più urgenti fra quelli indicati dal titolare di Palazzo Vidoni per superare la condizione stagnante di una Pa sempre più anziana (l’età media è salita a 50,7 anni) è quella di aprire gli affluenti del reclutamento. L’obiettivo è di archiviare il carrozzone delle selezioni per allestire concorsi digitali «in luoghi istituzionali, università, fiere», con prove «senza carta e penna». Un’idea già abbozzata nei «poli territoriali» proposti dall’ex ministra Dadone, che ora con l’appoggio a infrastrutture già operative potrebbe realizzarsi «in qualche settimana».
L’architettura delineata ieri da Brunetta, articolata nei quattro capitoli dedicati ad «accesso»(il reclutamento), «buona amministrazione» (la semplificazione), il «capitale umano» (carriere e formazione) e «digitalizzazione» correrà su più binari. Quello più immediato sul piano operativo è il decreto legge Recovery, anticipato sul Sole 24 Ore di ieri, un «decretone per il futuro del Paese» nelle parole di Brunetta che ambisce a imbarcare una ricca lista di semplificazioni. In vista di quel provvedimento, atteso per aprile, si lavora al taglio dei vecchi tetti di spesa per i contratti flessibili, da accompagnare con meccanismi di selezione diretta delle professionalità tecniche più specifiche per l’attuazione dei progetti, da trovare in collaborazione con università, privati e ordini professionali: tema a cui il Pnrr dedica 210 milioni per un «piano straordinario di assunzioni». Il testo dovrebbe poi occuparsi di rilanciare i tentativi meno riusciti del decreto semplificazioni 2020, dal superbonus alla rigenerazione urbana (articolo a fianco), e potrebbe avviare una drastica sfoltitura dei tanti obblighi anticorruzione che hanno prodotto più adempimenti che reali misure preventive. L’idea è quella di costruire un sistema di regole certe che accompagni il Recovery per tutta la sua durata, fino al 2026: anche con una proroga lunga delle novità giudicate più efficaci fra quelle temporanee (con scadenza tra giugno e dicembre 2021) portate dal Dl semplificazioni dell’anno scorso come le verifiche antimafia accelerate e i limiti ad abuso d’ufficio e danno erariale.
Il decreto dovrebbe arrivare ad aprile insieme alla versione definitiva del Pnrr, che riempirà le caselle fin qui lasciate vuote alla voce «concorrenza». Il terreno di gioco sono ancora una volta i servizi pubblici locali, per «favorire la scelta tra una pluralità di fornitori anche uscendo dai confini del perimetro pubblico».