La notizia è che sono tutti d’accordo. Non proprio su ogni punto del programma (e ci mancherebbe) ma su molte delle cose da fare di qui al 2020, i quattro candidati alla presidenza del Veneto, messi a confronto ieri sera dal direttore di Antenna Tre Domenico Basso a Xnews, rivelano ampie e inaspettate convergenze. Sui profughi, ad esempio. Nessuno li vuole. O almeno non così.
Il niet del leghista Luca Zaia è arcinoto («Vivono già qui tantissimi immigrati e molti di loro sono disoccupati») ma pure il Cinque Stelle Jacopo Berti chiede che a farsene carico sia l’Europa e della stessa idea è la democrat Alessandra Moretti («Bruxelles non può continuare a voltarsi dall’altra parte»), sebbene poi si dica favorevole all’accoglienza diffusa («Non è dicendo no che i profughi non arrivano») mentre l’ex leghista, ora civico-centrista, Flavio Tosi opta per un escamotage: «Diamo a chi arriva il permesso umanitario che permette di girare indisturbati per l’Europa per 3 anni. Per chi decide di restare, lavori socialmente utili». Intese larghissime anche sull’autonomia, con Zaia che rilancia i referendum (compreso quello per l’indipendenza) già impugnati dal governo davanti alla Consulta, Berti che dice di appoggiarli perché da sempre favorevole ai referendum e perché «in Lombardia siamo riusciti a centrare l’obiettivo», Moretti che si aggiunge al coro (per l’autonomia, che vorrebbe «speciale come il Trentino Alto Adige e il Friuli Venezia Giulia», non per l’indipendenza) pur stilettando Zaia sulle «promesse non mantenute» e Tosi che rilancia proponendo addirittura la fusione con le due Regioni vicine, «a norma dell’articolo 132 della Costituzione, i numeri ci sono» dando vita alla macro Regione del Nordest, furono Tre Venezie.
Il confronto tivù è per sua natura improntato all’uno (l’uscente, nel caso di specie Zaia) contro tutti (chi si candida ovviamente lo fa perché a suo dire qualcosa non ha funzionato) ma di fatto il «contro» si esaurisce il più delle volte in un modo «migliore» di fare la stessa identica cosa. Con un’unica eccezione: le Grandi Opere. Qui Berti si stacca dal gruppone di chi ritiene «indispensabile» recuperare il gap infrastrutturale velocizzando, snellendo, ripartendo, manco a dirlo con «la trasparenza e tutti i controlli del caso». Berti no: «Siamo assolutamente contrari alla Pedemontana, alla Tav e alle Grandi Opere che finora si sono rivelate solo occasioni di corruzione» va giù piatto il pentastellato, che però si rimette in scia sulle scuole paritarie «modello da difendere», sull’uso dei fondi dell’Unione europea per far ripartire il lavoro (con investimenti pesantissimi in agricoltura), sulla necessità di salvaguardare le «banche del territorio», sul bisogno di premiare competenze e meritocrazia nella composizione della squadra di giunta. Un feeling che già si era visto a «Porta a Porta», dove c’erano voluti i sondaggi per scaldare l’atmosfera, con l’unica differenza che stavolta, con le domande a giro, anche Tosi e Berti hanno l’occasione di dire la loro in modo approfondito; Zaia continua a battere sui tasti che gli sono più congeniali (specie in chiave antigovernativa, dalle tasse alla burocrazia), con proposte giocoforza in continuità con gli ultimi 5 anni, Moretti appare più rilassata, pronta allo scontro ma senza isterismi. Nessun sussulto neppure sugli oggetti simbolo (un mattone per Tosi «uomo del fare», il più fantasioso, un iPhone per Zaia, un iPad e un block notes per Berti, la cartina del Veneto per Moretti) o sulla provocazione di Basso, «Chi l’ha sparata più grossa finora?»: «Non sta a me dirlo», «Non è nel mio stile», «Lo diranno i cittadini». Chissà se sono le prove generali delle convergenze che la futura (risicata) maggioranza dovrà cercare in consiglio. Sarà curioso verificare se poi davvero voteranno tutti allo stesso modo come dicono, ad esempio sui vitalizi degli ex consiglieri, che Berti vorrebbe eliminare retroattivamente ma anche gli altri puntano a ridimensionare con l’applicazione, sempre retroattiva, del sistema di calcolo contributivo.
Detto dei contenuti, quanto alla forma si segnala l’avvio del cannoneggiamento di Tosi all’indirizzo di Zaia, dopo una prima fase di studio nelle scorse settimane. Attacchi sibillini, sferzanti: «Di 37 consiglieri che componevano l’ex maggioranza, 20 ora sostengono me»; «La Nogara Mare è ferma da 8 mesi, la Via del Mare è stata bloccata perché la procura sta indagando, ma se si blocca un cantiere ogni volta che i magistrati indagano, in Italia non si fa più niente»; «Chi è stato votato deve decidere, se si lascia tutto in mano ai dirigenti poi non ci può lamentare della burocrazia»; «Sento parlare di sicurezza, ma nell’ultimo bilancio la giunta aveva stanziato 60 mila euro…»; «Sul nuovo ospedale di Padova dopo 5 anni non si è ancora deciso nulla»; Zaia non replica mai, salvo due casi: «La cittadella sanitaria di Treviso è ferma da 2 anni» dice Tosi. «Perché c’è un ricorso al Tar» risponde Zaia. «C’è stata un’aggiudicazione provvisoria, che non è impugnabile» controreplica il sindaco. E sulle spese della campagna elettorale: «La mia campagna sarà interamente autofinanziata, pagheranno i candidati» assicura Zaia. «Ma se la Lega ha messo a disposizione 700 mila euro…» sbotta Tosi. «Votati anche da te». «Bugia, io non ho votato nulla, è stata un’indicazione arrivata al segretario amministrativo del Veneto direttamente da Salvini». «Comunque i soldi saranno restituiti dai candidati».
In chiusa, una nota curiosa: Tosi, in lieve ritardo, è arrivato negli studi di Antenna Tre a tutta velocità, con la solita Audi oscurata, munita però stavolta pure di lampeggiante in stile polizia: «Lo uso perché ho la scorta. Chiedete spiegazioni al prefetto, non a me».
Marco Bonet – il Corriere del Veneto – 2 maggio 2015