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Continuano ad arrivare, anche malati. «Scabbia, scarlattina, varicella e ferite». La Regione: «Monitoraggio h24 nelle Usl». I sindaci: controlli negli alloggi

Sono scesi dai pullman a piedi nudi ma, sotto i 30 gradi di ieri pomeriggio, coperti da giacche a vento, giubbotti di pelle e k-way di fortuna, ricevuti dai soccorritori al momento dello sbarco sulle coste calabresi e siciliane. Le donne nascoste in pesanti chador neri, gialli, rosa, viola e marroni. I bambini scalzi e spaventati, costretti a fare pipì e popò all’aperto, per mancanza di alternative.

Dopo venti ore di viaggio (partenze da Sicilia e Calabria) erano stanchi, sudati, assetati, spaesati, ma composti e dignitosi, tutti ordinatamente in fila. Hanno chiesto ai poliziotti che li aspettavano acqua e «un po’ di fresco»: qualcuno si è seduto per terra, all’ombra, prima di risalire sui pullmini diretti nelle sette province, per la destinazione finale nelle strutture di accoglienza allestite da cooperative e privato sociale. E’ l’ennesimo drappello di disperati del mare approdato ieri a Marghera, centro di smistamento regionale, che tra la mattina alle 7.30 e il pomeriggio alle 16 ha visto arrivare circa 200 persone. Si sommano ai 120 giunti nella notte direttamente a Treviso e ai 300 registrati nei tre giorni precedenti.

Un esodo senza fine, che comincia a evidenziare i primi problemi sanitari. Due uomini sono stati portati all’ospedale di Vicenza, uno con varicella e l’altro con disidratazione, due a San Donà con dolori all’addome, un gruppo di donne e bimbi con scabbia e scarlattina ha ricevuto le cure del caso al Pronto soccorso di Mestre, su disposizione del medico della polizia. Sempre presente al momento degli arrivi, per un primo esame esterno. E poi c’è il protocollo della Regione, secondo il quale tutti i rifugiati devono essere sottoposti a visita medica dal Dipartimento di prevenzione dell’Usl territoriale, anche se non sempre accade, perché i numeri sono eccessivi e perché tanti scappano. «Abbiamo attivato un sistema di sorveglianza — spiega la dottoressa Francesca Russo, responsabile regionale della Prevenzione — consiste in un monitoraggio, h24 e Usl per Usl, delle cure sanitarie prestate ai migranti. Dall’assistenza al Pronto soccorso ai ricoveri. Ogni 5 del mese raccoglieremo le segnalazioni delle 21 Usl ed emetteremo un bollettino. Al momento non emergono situazioni gravi». «Il problema si porrà quando tra coloro che fuggono, soprattutto eritrei e somali, si troverà qualcuno colpito da una malattia infettiva — riflette Francesco Lipari, segretario veneziano del Coisp (sindacato di polizia) — e allora si rischierà l’epidemia. Non è questo il modo di organizzare l’accoglienza di chi scappa da guerre e fame. Li salviamo dal mare per poi gettarli in una guerra tra poveri? E rischiamo pure noi poliziotti: mascherine e guanti non sempre bastano a proteggerci». E infatti nei mesi scorsi diversi agenti sono stati contagiati da tubercolosi e scabbia.

Una certa insofferenza è ormai palese tra le forze dell’ordine, sempre più spesso costrette a sfamare di tasca propria i migranti, a cedere le divise di riserva a chi arriva nudo, a comprare calzini per i bambini. «E’ un’invasione — si sfoga Antonio de Lieto, presidente del Lisipo — e non giunge solo dal Sud ma anche dai confini del Nord Est, da dove ogni giorno transitano migliaia di persone provenienti da Afghanistan e Pakistan. Nel silenzio generale. Fino a quando riusciremo a reggere?».

Posizione condivisa dai sindaci, che in maniera bipartisan stanno opponendo un «alt», ma invano, ad altri invii di richiedenti asilo da parte del ministero dell’Interno. Il cui responsabile, Angelino Alfano, con altrettanta veemenza ha più volte invitato il Veneto a fare la sua parte, «perchè la gestione dell’immigrazione non è compito della Regione nè degli enti locali». Per tutta risposta Massimo Bitonci, primo cittadino leghista di Padova, ha disposto controlli a tappeto sulle case offerte dai privati proprio nelle stesse ore in cui le prefetture ne stanno cercando disperatamente altre. Bitonci vuole verificare l’osservanza della recente ordinanza emanata «contro il sovraffollamento degli alloggi e per il rispetto delle condizioni di salubrità. «A Padova stiamo assistendo a scene da Far West — avverte il leghista — richiedenti asilo arrivano in provincia, si danno alla macchia, vagabondano per i Comuni, gettano nel panico i residenti e vengono inseguiti dalle forze dell’ordine. Costrette a un super lavoro per mancanza di garanzie da parte del Viminale». In contemporanea arriva la notizia che dopo Padova e Vicenza, anche la provincia di Verona sdogana gli appartamenti privati: la prima offerta giunge da un residente di Engazzà di Salizzole, Comune che martedì si è trovato alla porta una ventina di disperati. «Ormai non ci avvertono nemmeno più», reclamano i 16 sindaci veronesi, che con un documento chiedono al governo di cambiare strategia nella gestione dell’emergenza, puntando alla concertazione. La prefettura scaligera si dice disponibile a un incontro ma replica che finora nessun primo cittadino si è prodigato per trovare una sistemazione ai profughi, infatti il bando di gara per un migliaio di posti è andato sostanzialmente deserto.

Infine il sindaco di Vicenza, Achille Variati, pure lui contrario a nuovi arrivi, ha deciso di impiegare i rifugiati in lavori socialmente utili.

Michela Nicolussi Moro – Il Corriere del Veneto – 11 giugno 2015 

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