Corsa alle delibere per la Tasi. Il mancato rinvio lascia aperti i dubbi. Per gli inquilini la chance del pagamento minimo
Nel braccio di ferro sulla Tasi i Comuni hanno avuto la meglio, scongiurando il rischio di uno slittamento del pagamento al 16 settembre. Ma solo il 10% di loro ha deliberato l’aliquota, il che fa presagire solo caos. «Ho il timore – spiega infatti il sottosegretario all’Economia Enrico Zanetti – che il 16 giugno si verificherà più di qualche problema, non per i sindaci ma per i cittadini».
Il 16 giugno è quella che Corrado Sforza Fogliani, presidente di Confedilizia, ha chiamato «la giornata della vergogna»: «Molti Comuni – sostiene – non hanno deciso perché non volevano farlo prima delle elezioni amministrative, quando non si può andare con le aliquote a briglia sciolta per fare cassa».
Anche le associazioni dei consumatori lanciano l’allarme Tasi: troppo vicina la scadenza e troppo pochi i Comuni che hanno deciso le aliquote. In più, «dai pochi Comuni che hanno deliberato – fanno sapere Adusbef e Federconsumatori – proviene un segnale allarmante: tutti sono orientati all’applicazione di aliquote ben al di sopra del minimo previsto, attestandosi tra il 2,5 e il 3,3 per mille».
Le difficoltà che la mancata proroga causerà ai contribuenti sono diverse. Alcune possono essere risolte solo attraverso interpretazioni elastiche e facendo gran uso del buon senso, come nel caso dell’inquilino, tenuto al pagamento di una quota variabile tra il 10 e il 30% dell’imposta. Non essendoci una misura base di legge, non è chiaro come debba essere pagato l’acconto Tasi “al buio”, al 16 giugno. L’unica soluzione ragionevole è rappresentata dalla possibilità che proprietario e inquilino versino ciascuno il minimo di legge. Questo significa, in pratica, che il detentore pagherà il 10% e il proprietario il 70. Il conguaglio di quanto dovuto sarà versato a saldo a dicembre.
Altro caso controverso è quello dell’immobile adibito ad abitazione principale di uno solo dei comproprietari. Poiché la disciplina di riferimento prevede che debba trattarsi di «un’unica obbligazione tributaria», ipotizzando una diversificazione di aliquote da parte del Comune a seconda che si tratti di abitazione principale o di seconda casa, non è chiaro quale aliquota dovrebbe essere applicata. Ricorrendo al buon senso, la giusta risposta dovrebbe essere che ciascun possessore si calcoli autonomamente la Tasi, con riferimento alla propria situazione. Se il Comune non ha deliberato nulla, i possessori non residenti dovranno versare l’1 per mille sulle proprie quote, mentre il possessore residente dovrà pagare tutto a dicembre. La situazione diventa invece irragionevolmente complicata se, dopo il pagamento dell’acconto, il Comune decide di esentare dalla Tasi la generalità degli immobili, con la sola eccezione dell’abitazione principale. Non è così scontata la legittimità di tale soluzione; in ogni caso, ciò comporterà l’esigenza di rimborsare una miriade di importi, anche modesti. Una soluzione potrebbe consistere nel prevedere per legge la facoltà di compensare la Tasi pagata con l’Imu dovuta per il medesimo anno. In questo modo si potranno ridurre notevolmente le pratiche di rimborso.
Un altro dubbio rigurda il caso in cui l’aliquota Imu da applicare in acconto, pari a quella dell’anno scorso, sia già ai massimi (10,6 per mille). Poiché a regime la somma di Tasi e Imu non può superare il 10,6 per mille, dovrebbe essere possibile per i contribuenti l’autoriduzione dell’acconto complessivo da versare sino al tetto massimo dell’Imu. E, considerate le incertezze esistenti sugli immobili che saranno effettivamente soggetti a Tasi, dovrà consentirsi al contribuente di pagare in questi casi la sola Imu.
Il Sole 24 Ore – 17 maggio 2014