di Vincenzo Giannotti. La risoluzione immediata del rapporto di lavoro con un dirigente a contratto, in violazione del diritto di difesa sancito dallo Statuto dei lavoratori, genera danno erariale risarcibile, equivalente alle retribuzioni non corrisposte al dirigente dalla data di risoluzione illegittima alla scadenza naturale del contratto, tali sono le conclusioni della Corte dei conti, Sezione giurisdizionale regionale Emilia Romagna (Sentenza 26/03/2018 n. 72), con la sola attenuazione della sanzione erariale in considerazione delle accertate ragioni nel merito.
I fatti di causa
Il Consiglio di amministrazione di un ente pubblico economico, a causa della gravità della condotta di un dirigente a termine, disponeva la risoluzione immediata del contratto per giusta causa due anni prima della scadenza naturale dello stesso. Il giudice del lavoro, adito dal dirigente, ha accertato la violazione delle garanzie procedurali, a causa della mancata previa contestazione degli addebiti ai sensi dello Statuto dei lavoratori (art. 7, l. n. 300/1970), con condanna del datore di lavoro ad otto mensilità, pur considerando fondate prima face i rilievi mossi nei confronti del dirigente. In sede di opposizione la condanna del datore di lavoro è stata, invece, calcolata pari alle retribuzioni dovute fino a scadenza naturale del contratto a termine (circa due anni), oltre alle spese di lite. Tale condanna è divenuta definitiva con la sentenza della Corte di appello. Nelle motivazioni della sentenza risulta, inoltre, incontestata la “giusta causa” del licenziamento con la conseguenza che, l’assenza dell’obbligo di preventiva contestazione del procedimento disciplinare produce ex se l’illegittimità del licenziamento, con obbligo del datore di lavoro di corrispondere al dirigente le retribuzioni fino alla scadenza naturale del suo contratto a termine. Infine, è stato evidenziato come le garanzie, previste dallo Statuto dei lavoratori, sono applicabili anche ai dirigenti, con la conseguente illegittimità del licenziamento a prescinde dalla fondatezza o meno delle ragioni poste a base dello stesso le quali non possano incidere, in ogni caso, sulla misura della liquidazione del danno.
A fronte dell’inutile esborso delle retribuzioni pagate per le attività non ricevute, la Procura citava in giudizio il Consiglio di amministrazione che ha disposto il licenziamento illegittimo chiamandolo al pagamento degli importi corrisposti al dirigente e delle spese di giudizio sopportate per la soccombenza dell’Ente.
Secondo la difesa dei convenuti la mera dichiarazione giudiziale di invalidità del recesso non implica l’automatica responsabilità amministrativo-contabile di chi ha esercitato il citato potere, in considerazione della naturale e fisiologica alea del giudizio. In caso di condanna, infine, la difesa chiede il potere di riduzione, a fronte del fatto che lo stesso Giudice del lavoro avrebbe ritenuto prima facie sussistente la giustificazione del recesso.
Le indicazioni del Collegio contabile
Avuto riguardo al danno erariale, sia diretto (retribuzioni corrisposte al dirigente) che indiretto (spese di lite addebitate), per il Collegio contabile sussisto tutti i presupposti evidenziati dal Procuratore, per la violazione dei principi fondamentali della difesa del lavoratore, quale garanzia basilare stabilita dallo Statuto dei lavoratori, la quale da tempo è estesa anche ai dirigenti (Cass. Sezioni unite n. 7880/2007). Va, tuttavia, accolta la riduzione richiesta dai convenuti, avendo il giudice del lavoro escluso il carattere discriminatorio/ritorsivo del licenziamento in questione, così rigettando la domanda di reintegrazione nel posto di lavoro avanzata in via principale dal dirigente, con la conseguenza che i convenuti hanno agito con l’intento, dal loro punto di vista, di garantire efficienza e buon andamento dell’azione amministrativa dell’ente, che rischiava di essere irrimediabilmente sacrificata a fronte delle condotte contestate al dirigente. Il danno erariale, in considerazione del potere riduttivo, è stato quantificato in 30.000 Euro a fronte di circa 222.000 euro posto come base dalla Procura.
Il Sole 24 Ore – 30 marzo 2018