Ma secondo economisti e tecnici serve l’1% per creare posti. Così si spiegano i dati contraddittori di governo e Istat. I posti di lavoro — spiegano gli economisti — aumenteranno solo con una crescita del Pil stabilmente intorno all’1%.
Il Def (Documento di economia e finanza) che il governo approverà la prossima settimana dovrebbe contenere una previsione di crescita per il 2015 dello 0,7%, un po’ meglio della precedente stima dello 0,6 ma ancora lontana da un tasso che possa rilanciare anche l’occupazione. Dunque c’è da attendersi un anno di mercato del lavoro stagnante. Con un risveglio possibile a cavallo con il 2016. D’altra parte è esattamente questa la fotografia scattata dall’Istat con l’ultima rilevazione mensile (febbraio) sugli occupati: tasso di disoccupazione in leggera risalita al 12,7, occupazione ferma al 55,7 per cento. Lo stesso ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, ha parlato ieri di «segnali di assestamento» nel mercato del lavoro che saranno «via via più positivi». Questo è il quadro. E i dati sull’andamento a gennaio e febbraio delle assunzioni e delle cessazioni dei rapporti di lavoro, resi noti dal Ministero di Giuliano Poletti, raccontano sostanzialmente la medesima storia: un saldo positivo (tra attivazioni e cessazioni) di 45.703 contratti rispetto allo stesso periodo del 2014. Non un’inversione di tendenza, non un incremento significativo dei posti di lavoro ma un travaso dei rapporti di lavoro dai contratti precari a quelli stabili. Qui hanno giocato gli incentivi fiscali (abbattimento della componente lavoro dal calcolo dell’Irap) e contributivi (azzeramento dei contributi per tre anni per i nuovi assunti stabili) e non il Jobs act che è entrato in vigore solo il 7 marzo.
Nel passato si riteneva necessario un aumento del Pil dal 2% in su per avere ripercussioni positive sul lavoro. «Oggi quella soglia si è abbassata», spiega Pietro Garibaldi, professore di Economia politica a Torino. Proprio l’Italia dagli anni Novanta in poi con tassi di crescita intorno all’1% ha dimostrato che l’occupazione poteva contestualmente salire anche oltre l’1%. Ci fu quello che Garibaldi chiama “l’effetto luna di miele” della riforma Biagi che portò al 7% di disoccupazione prima dello scoppio della Grande crisi nel 2007. Aumentarono i posti di lavoro precari, essenzialmente dei giovani e delle donne, ma con una dinamica del Pil al rallentatore la produttività ha continuato a non crescere, lasciandoci costantemente in fondo alla classifica tra i paesi dell’Ocse, e con gli investimenti in innovazione che hanno continuato a latitare. «E quel modello, basato sul lavoro debole, non ha retto davanti alla crisi», sostiene Garibaldi. Ora si prospetta una nuova “luna di miele” con il Jobs act. Ci si aspetta — anche nello staff tecnico di Palazzo Chigi — la stabilizzazione dei rapporti di lavoro non un aumento marcato del tasso di occupazione. «E i segnali che arrivano — dice Carlo Dell’Aringa, docente alla Cattolica di Milano, ex sottosegretario al Lavoro, ora deputato del Pd — vanno in quella direzione. D’altra parte questo è il cuore del Jobs act».
La ripresa dell’occupazione sarà lenta. «Non dimentichiamoci — osserva Emilio Reyneri, sociologo del lavoro all’Università Bicocca di Milano — che anche nel pubblico impiego è tutto fermo: si esce ma non si entra. Il ricambio è praticamente nullo e anche questo conta». E le aziende private in crisi prima di assumere riassorbiranno i lavoratori che sono in cassa integrazione (comincia già a vedersi tra le imprese del Veneto) oppure in part time. Processi che non saranno rilevati dalle statistiche dell’Istat e nemmeno dai dati del ministero del Lavoro sulle attivazioni e cessazioni. Due indagini profondamente diverse che negli ultimi giorni hanno finito per generare confusione («dati apparentemente contraddittori», ha detto Padoan) a causa della loro contestualità. L’Istat ha fotografato la situazione lo stock degli occupati nel mese di febbraio, il Lavoro il flusso di entrate e uscite nell’occupazione dipendente escluso quindi il lavoro autonomo che però rappresenta oltre il 15%. Due cose diverse anche sul piano tecnico: la rilevazione Istat è campionaria, quella del Lavoro tiene conto delle comunicazioni delle imprese. Meglio allora attendere il 3 giugno quando l’Istat comunicherà i più affidabili dati sull’andamento dell’occupazione relativi al primo trimestre dell’anno.
Repubblica – 2 aprile 2015