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Cuneo fiscale. Intervento progressivo in 3 anni. Obiettivo 8 miliardi nel 2016. Le risorse dalla spending review

L’ipotesi prevalente. Un bonus fiscale di 150 euro a famiglia per il prossimo anno. Solo una settimana per definire tutti i dettagli

Quattro miliardi l’anno prossimo, sei nel 2015, otto nel 2016. Il sogno proibito di Enrico Letta sono tre numeri in progressione. A dispetto del nome astruso, se c’è una misura che gli può valere il massimo ritorno di immagine è il taglio del cosiddetto cuneo fiscale. Lo chiedono Pd e Pdl, sindacati e imprese, Fondo monetario e Unione europea. In Italia la differenza fra ciò che le imprese spendono per ogni lavoratore e la retribuzione netta del dipendente supera il 46%: più del 25% è a carico dell’imprenditore, il resto circa il 20% – lo paga il lavoratore. Una voragine in cui finiscono contributi sociali, Irap, Inail. Il premier, nel suo quotidiano ritorno al giorno della Marmotta, sa di che si parla. Era il 2007 e a Palazzo Chigi c’era Romano Prodi. Letta era sottosegretario alla presidenza del governo che varò un taglio di cinque miliardi di euro. Molti per il rigido bilancio dello Stato, pochi perché quel taglio si trasformasse in una visibile riduzione delle imposte. Il resto lo fece l’arrivo della lunga crisi. «Confindustria non ci disse nemmeno grazie», rimembra Prodi a chi gli ricorda di quel passaggio. Sette anni dopo il dilemma è sempre lo stesso. Come rendere visibile il taglio? E come far sì che la riduzione di quelle voci d’imposta siano di reale sostegno alla ripresa? «Stiamo lavorando, facciamo diverse simulazioni», spiega il ministro del Lavoro Giovannini. La soluzione al primo dilemma, al momento la più gettonata, prevede per l’anno prossimo la concessione di un unico bonus fiscale da almeno 150 euro a famiglia. Ma per fissare l’asticella le variabili in gioco sono almeno due: quanto ampia sarà la platea dei lavoratori e delle imprese interessate, e soprattutto quanto il governo sarà in grado di mettere a disposizione in un triennio. Il tempo per chiudere è pochissimo, una settimana da oggi. L’ U n i o n e e u r o p e a aspetta la bozza della legge di Stabilità al più tardi il 16 ottobre. «Dopo tanti giorni passati a occuparci d’altro stiamo partendo quasi da z e ro » , a m m e t t e u n a fonte di governo. Tutti gli sguardi sono su Fabrizio Saccomanni e Carlo Cottarelli, l’uomo chiamato a mettere mano al mare magnum della spesa pubblica. Il suo incarico inizia formalmente il 22 ottobre, ma vista l’urgenza già oggi l’ex dirigente del Fondo monetario dovrebbe essere a Via XX settembre per una prima riunione con il ministro. L’esperienza della spending review di Enrico Bondi, interrotta bruscamente dalla fine del governo Monti, non promette bene. Ma di quella fase resta l’ampio lavoro preparatorio dell’ex ministro Giarda. Inoltre, a differenza di Bondi, Cottarelli avrà almeno tre anni di tempo, la durata del contratto firmato con il ministero dell’Economia. Potrà mettere le mani anche in settori che a Bondi erano vietati – come quello dei contributi alle imprese – e avrà accesso a qualunque banca dati della pubblica amministrazione. L’obiettivo numero uno è mettere un freno alla spesa locale, completando il percorso interrotto dai decreti sul federalismo fiscale e introducendo costi e fabbisogni standard. Il margine per i risparmi è enorme – gli enti locali assorbono più di un quarto degli 800 miliardi della spesa pubblica – ma il tempo necessario per ottenerli è lungo. Ecco perché al Tesoro sottolineano che «il lavoro è in fieri». Ma a livello politico un’idea di quel che si può ottenere per finanziare una significativa riduzione delle tasse sul lavoro se la sono fatta: quattro miliardi nel 2014, sei nel 2015, otto nel 2016. Sempre che come va sottolineando Cottarelli a chi lo sente – «ci siano i solidi accordi bipartisan necessari a queste riforme»

La Stampa – 8 ottobre 2013 

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