Si riparte sempre da lì. Da cosa succederà all’elezione dei presidenti delle Camere e innanzitutto al Senato dove, dalla quarta votazione, si va al ballottaggio. Secondo un puro calcolo matematico, il centro-destra avrebbe i numeri per eleggere uno dei suoi ma sarà questo lo scenario? Se dovesse finire così, con un’elezione fatta con il criterio dell’autosufficienza, sarà evidente la mancanza di intese e quindi l’assenza di un patto di maggioranza, anche stipulato dai partiti avversari. Ma questa è una domanda che già sposta troppo in là lo scenario. Intanto si sta all’oggi e al Quirinale hanno sospeso ogni schema visto che in corso ci sono partite politiche di primissimo livello. Intanto le dimissioni di Renzi aprono una fase diversa e non del tutto chiara nemmeno a chi sta provando a gestire la direzione Pd di lunedì. Si cerca un percorso il più possibile unitario per la successione mentre new entry arrivano al Nazareno, come quella di pregio di Carlo Calenda. Ieri si è iscritto al Pd e, vista l’accoglienza di Gentiloni, da molti viene considerato uno dei papabili successori.
Ma, appunto, tra passaggi chiave come la direzione e le divisioni interne, tra il post-Renzi e la preparazione di un congresso (che non sarà a breve), diventano troppe le variabili per riuscire a capire l’orientamento di un partito che, seppure perdente, ha i voti di cui hanno disperatamente bisogno i due vincitori senza maggioranza, 5 Stelle e centro-destra. E qui ci si trova davanti a un altro angolo. E cioè il Pd andrà sicuramente all’opposizione? Domanda prematura visto che il primo punto all’ordine del giorno è gestire il passo indietro di Renzi che si sta rivelando più ingombrante di un passo avanti. In sostanza, ancora prima di scegliere la rotta, c’è un problema di chi regge il timone. In ogni caso un’intesa con i 5 Stelle – ieri – la scartavano tutti, da Gentiloni a Franceschini. E un appoggio esterno al centro-destra magari senza Salvini ma con Tajani (o Maroni) premier? Ecco un’altra domanda prematura ma che gira.
Tanti i nodi anche nel centro-destra. In una giornata nervosa come quella di ieri, intanto è stato deciso che non ci saranno i gruppi unici parlamentari come sperava Salvini. Sembra invece che ci sarà un coordinamento unico per andare al Quirinale e per strappare un incarico o pre-incarico. In quel caso sarà il leader leghista a riceverlo? Anche qui sarà necessario un endorsement ufficiale. I maligni dicono che Berlusconi manderà avanti Salvini per bruciarlo ma al di là di questi calcoli, al Quirinale guarderanno – come si diceva – l’elezione del presidente del Senato. Sarà frutto di uno “scambio” politico o registrerà solo i numeri della coalizione? È chiaro che un esito porta a un’incarico e l’altro lo rende meno probabile.
E pure nei 5 Stelle, dopo il grande exploit, ci sono molte discussioni interne su quale interlocuzione scegliere, se la destra o il Pd. Si aspetta l’esito che avrà lo scontro sulle dimissioni di Renzi mentre sembra vogliano sottoporsi a un referendum della base prima di assumere decisioni. Su tutti questi tasselli che mancano, al Colle hanno sospeso ogni riflessione in attesa che la nebbia si diradi un po’.
Lina Palmerini – Il Sole 24 Ore – 7 marzo 2018