Una sfida alla corruzione in dodici pagine. Società pubbliche a prova di trasparenza, rotazione degli incarichi, rigide incompatibilità e ampia tutela per chi svela il malaffare. Repubblica anticipa la direttiva a doppia firma, il Ministero dell’Economia del ministro Padoan e l’Authority Anti-corruzione di Cantone, che lancia il decalogo delle nuove regole per garantire massima pubblicità alla vita e alle scelte operative delle società pubbliche con l’obiettivo di prevenire la corruzione.
Si applicherà subito alle aziende non quotate sotto il diretto controllo del Mef e, tra qualche settimana dopo un confronto con la Consob, anche alle quotate. Parliamo di imprese strategiche nell’economia italiana, basti citare Rai, Anas, Fondo italiano di investimento, Expo, Sogei, e ancora Eni, Enel, Finmeccanica, Poste e Ferrovie, che dovranno fare i conti con le indicazioni stringenti della famosa legge Severino, con il decreto Madia e con le nuove norme sulla trasparenza. Sono le norme che Mef e Anac hanno riletto per scrivere la nuova direttiva. Un testo destinato a diventare, non appena sarà pubblicato dall’Anac, una Bibbia anche per tutte le società partecipate a livello regionale e comunale.
Ancora regole calate dall’alto, ancora piani e programmi sulla carta, che lasceranno l’Italia in vetta alle classifiche sulla corruzione? Roberto Garofoli, il capo di gabinetto del Mef che ha lavorato con Cantone e che già nel 2012 era al vertice della commissione che mise le fondamenta della legge Severino, è convinto del contrario e spiega perché: «No, non vogliano certo imporre dall’alto lacci e lacciuoli, un surplus di regole burocratiche che ingessino l’organizzazione e l’attività delle società pubbliche, ma vogliamo indurle a dotarsi di meccanismi organizzativi di assoluta trasparenza per prevenire rischi di opacità comportamentale e conseguente corruzione». Saranno Garofoli e Cantone domani al Mef, con Padoan e Madia, a presentare ufficialmente la direttiva che, dal giorno dopo, sarà online per una rapida consultazione, al termine della quale diventerà operativa.
Tuffiamoci dentro la direttiva allora, e scopriamo come in un vicinissimo futuro pure le società pubbliche dovranno rispettare le regole che ora riguardano solo le pubbliche amministrazioni. Il fondamento giuridico è semplice e sta dentro la stessa legge Severino. Come è scritto nella direttiva «la ratio sottesa alle legge 190 del 2012 è quella di estendere le misure di prevenzione della corruzione a soggetti che, indipendentemente dalla natura giuridica, sono controllati dalle amministrazioni pubbliche, gestiscono denaro pubblico, svolgono funzioni pubbliche o attività d’interesse pubblico e, pertanto, sono esposte ai medesimi rischi cui sono sottoposte le amministrazioni alle quali sono in diverso modo collegate per ragioni di controllo, di partecipazione, di vigilanza». A chi potrebbe obiettare che le società pubbliche già applicano il decreto legislativo 231 del 2001 conviene rispondere con le parole di Garofoli: «Quel decreto mira ad evitare che siano commessi reati nell’interesse o a vantaggio della società, mentre la legge 190 vuole prevenire delitti come il peculato, la corruzione attiva e passiva, commessi anche a danno della società, ancorché dai suoi stessi dipendenti ». Sgombrato il campo dai fondamenti giuridici su cui si poggia la direttiva, eccoci al decalogo. A partire dai due principali pilastri, il piano anti-corruzione e il responsabile della prevenzione. Il piano, recita il testo, dovrà prevedere «misure idonee a prevenire fenomeni di illegalità». Dovrà avere «adeguata pubblicità, all’interno della società e all’esterno», e dovrà essere pubblicato sul sito web della società. Ovviamente sarà strategica la scelta del responsabile del piano, una figura che la direttiva definisce come «un dirigente che abbia dimostrato nel tempo un comportamento integerrimo». Nell’individuare l’uomo giusto la società «dovrà tenere conto di situazioni di conflitto di interesse ed evitare, per quanto possibile, di designare dirigenti in settori individuati a maggior rischio corruttivo».
Un obiettivo strategico sarà proprio quello di fare «una mappa delle aree a rischio», cioè i settori della società che più di altri possono diventare protagonisti di casi di corruzione, «appalti, autorizzazioni e concessioni, sovvenzioni e finanziamenti, procedure di assunzione del personale». La mappa dovrà prevedere dove potranno essere commessi i reati e individuare la prevenzione necessaria. Le mosse successive saranno i «codici di comportamento» e la massima trasparenza sul web di tutti i dati che potranno essere resi pubblici, senza danneggiare la società sul piano della concorrenza. La direttiva pone vincoli rigidi: sarà creato un ufficio ad hoc per dare pareri «sull’attuazione del codice in caso di incertezze»; sarà previsto «un apparato sanzionatorio »; nascerà «un sistema per raccogliere le segnalazioni sul codice violato».
In questa strategia anti-corruzione conta la collaborazione dei dipendenti. Il decalogo prevede che sia «incoraggiato colui che denuncia gli illeciti di cui viene a conoscenza nell’ambito del suo rapporto di lavoro». Chiamiamolo pentito o gola profonda. I suoi occhi e la sua testimonianza saranno fondamentali per scoprire l’odore della mazzetta. Ma la società dovrà garantirgli non solo «la riservatezza dell’identità» ma anche «ogni contatto successivo alla segnalazione ». In un piano così è inevitabile che sia strategica la politica del personale. Per questo sono previste regole molto rigide negli incarichi. A partire dalla rotazione, che dovrà diventare una pratica obbligatoria. Ordina la direttiva: «La società programma la rotazione », ma lascia uno spiraglio qualora «emerga l’esigenza di salvaguardare un elevato contenuto tecnico». Segue una raffica di divieti: nessun incarico a chi ha condanne per reati contro la pubblica amministrazione, o è componente di un organo politico nazionale. Rigido e dettagliato il capitolo delle incompatibilità per gli amministratori e i dirigenti delle società. Divieto di assunzione per i dipendenti pubblici che «negli ultimi tre anni abbiano esercitato poteri autoritativi o negoziali per pubbliche amministrazioni». Un monitoraggio obbligatorio sul rispetto delle regole anti-corruzione dovrebbe permettere alla società di non cacciarsi nei guai.
Repubblica – 23 marzo 2015