Ebola fa paura anche in Italia, pur in assenza di contagio. A preoccupare è la presenza dei soldati americani reduci dall’intervento in Liberia. Alcuni militari del contingente statunitense impegnato a combattere l’epidemia sono rientrati nella caserma di Vicenza, dove sono stati messi in quarantena. Ieri ha suscitato nuova attenzione l’arrivo di un aereo dalle zone del contagio, atterrato all’aeroporto Usaf di Aviano dopo una sosta a Pratica di Mare per i controlli medici, che hanno dato esito negativo. I militari a bordo sono rientrati nella base di Vicenza in pullman.
Al governatore del Veneto, Luca Zaia, il quale sostiene che sarebbe necessario far lasciare la zona alle truppe americane, perché il Veneto «non è un lazzaretto », si è affiancato ieri anche il sindaco di Padova, Massimo Bitonci, anch’egli leghista, secondo cui la regione «non è una colonia Usa». Agli amministratori allarmati ha risposto ieri il ministro della Salute Beatrice Lorenzin, sottolineando che «ai militari Usa sono state applicate le normali procedure internazionali » e assicurando che «non ci sono casi di Ebola segnalati in Italia».
Intanto le istituzioni sanitarie sottolineano che la lotta al contagio sta registrando buoni risultati: l’Organizzazione Mondiale per la Sanità conferma che la diffusione del virus è in calo nel Paese più colpito, la Liberia. Su 13.703 casi segnalati, i morti sfiorano i cinquemila. «Se abbiamo fiducia che la risposta stia avendo la meglio sul virus? Assolutamente sì, vediamo che i nuovi casi sono in diminuzione», ha sottolineato Bruce Aylward, assistente direttore generale dell’Oms. La percentuale di decessi si avvicina al 70 per cento dei casi di contagio, ma questo dato cambia in meglio fra le persone ricoverate nei centri di assistenza, dice Aylward. Se la tendenza positiva continua, entro dicembre le misure di contenimento dovrebbero essere dispiegate del tutto.
Meno ottimista il messaggio delle Nazioni Unite, che vedono progressi nell’opera di contenimento dell’epidemia, ma allo stesso tempo segnalano la mancanza di fondi sufficienti e di lavoratori con il necessario addestramento. «Abbiamo bisogno di tre cose», ha detto ad Accra, in Ghana, Anthony Banbury, capo della missione Onu: «Prima di tutto personale qualificato. Poi materiali. E fondi». Secondo l’ambasciatore statunitense all’Onu Samantha Power i Paesi donatori devono muoversi in fretta per finanziare la missione delle Nazioni Unite e mandare rifornimenti al centro di distribuzione della capitale ghanese. (g. cad.)
Repubblica – 30 ottobre 2014