Ribadite le procedure per la gestione degli operatori di ritorno da zone endemiche. ” Le regioni hanno prontamente definito un percorso discendente dalle indicazioni nazionali – ha spiegato Flori Degrassi, direttrice della programmazione sanitaria nel Lazio – Ci sono stati però problemi organizzativi, amplificati dai mezzi di comunicazione”. In collegamento dalla Sierra Leone anche Gino Strada.
Promuovere il confronto tra le istituzioni ed i particolare con le Direzioni Regionali per la Sanità, al fine di ridurre le differenze di approccio e gestione del problema nelle diverse realtà, cercando di razionalizzare procedure e percorsi, evitando anche l’accaparramento di dispositivi di protezione o l’uso inappropriato di essi. Queste le principali finalità che hanno animato il ‘webinar’ (seminario online), organizzato dall’Istituto nazionale per le malattie infettive (Inmi) ‘Lazzaro Spallanzani’ di Roma e condiviso con il Gruppo Tecnico della Conferenza Stato-Regioni. L’iniziativa è stata seguita da oltre 4mila persone, tra cui circa mille hanno interagito con i relatori, inviando domande e chiedendo delucidazioni. Durante il seminario, sono state ribadite le procedure per la gestione degli operatori di ritorno da zone endemiche.
“Il Paese ed i servizi sanitari regionali negli ultimi mesi sono stati messi a dura prova dall’emergenza ebola – ha spiegato Flori Degrassi, direttrice della programmazione sanitaria nel Lazio – Le regioni hanno prontamente definito un percorso discendente dalle indicazioni nazionali e fatto da cinghia di trasmissione tra il governo centrale e le strutture sanitarie locali. In ogni caso si sono verificati problemi organizzativi e gestionali che sono stati enormemente amplificati dai mezzi di comunicazione di massa, determinando in alcuni casi reazioni di panico”.
Nel corso dei lavori Antonio Di Caro, direttore del Laboratorio di Microbiologia e della Banca biologica dell’Inmi Spallanzani, ha garantito che “quando vengono effettuati test molecolari, è quasi sempre possibile escludere falsi positivi”. A livello metodologico “è difficile individuare il virus nel sangue durante le prime fasi della malattia”. Nel complesso, “quando scegliamo il materiale biologico su cui lavorare, preferiamo comunque optare per il sangue perché cin assicura una maggiore rilevanza”.
Un contributo fondamentale arriva poi da chi opera direttamente sul campo nei Paesi africani dove il virus ha attecchito drammaticamente. “In Sierra Leone – ha raccontato Gino Strada, fondatore di Emergency in collegamento dal paese africano – il trattamento erogato a ogni paziente è di circa 175 minuti al giorno. E’ necessario comunque implementare ancora di più la cura dei malati, perché questa è l’unica strada percorribile per conoscere meglio la malattia e definire possibili cure. Dall’approccio diretto abbiamo, per esempio, dedotto che l’emorragia non è legata automaticamente all’ebola, ma rappresenta un fenomeno raro e modesto”.
Sotto il profilo finanziario, sino a questo momento “il totale degli interventi messi in campo dalla cooperazione italiana è stato pari a 1 milione e 660mila euro, concentrati soprattutto in Sierra Leone – ha sottolineato Giampaolo Cantini, direttore generale del Ministero degli Esteri – La previsione per i nuovi interventi da attuare entro la fine di quest’anno si aggira intorno ai 5 milioni. Vettore fondamentale resta sempre un elevato tasso di sensibilizzazione poiché permette più efficaci percorsi di prevenzione”.
Il ruolo dell’Inmi, ha ricordato il direttore scientifico Giuseppe Ippolito, è stato consistente e tangibile a più livelli. Ha infatti contribuito da marzo 2014, immediatamente dopo l’identificazione del focolaio di Ebola, al dispiegamento di un laboratorio mobile di alto biocontenimento (BSL4) finanziato dalla Commissione Europea (DEVCO) in Guinea Conacry. Di conseguenza, le capacità di rilevamento e monitoraggio del virus in rapida diffusione sono state notevolmente rafforzate, non solo in Guinea, ma anche nei paesi vicini.
Il team che ha avviato la storia del laboratorio Mobile in Guinea lo scorso marzo, e che opera sotto l’egida del WHO, era composto da scienziati e tecnici dell’Istituto Nazionale per le Malattie Infettive Lazzaro Spallanzani di Roma, dell’Istituto di Microbiologia dell’Istituto Federale Bundeswehr di Monaco, dell’Istituto di Medicina Tropicale Bernhard-Nocht di Amburgo e del Laboratorio P4 – Jean Mérieux di Lione. La gestione del Laboratorio è stata successivamente supportata da personale dell’Agenzia di sanità pubblica inglese e di altri Istituti europei.
Il Laboratorio mobile, realizzato nell’ambito di un programma finanziato dalla Commissione Europea, è un concentrato di tecnologie per poter manipolare in condizioni di emergenza virus altamente pericolosi e si basa sulla capacità di virologi esperti che sono stati appositamente selezionati e formati, nell’ambito di sessioni di istruzione intensive e ad elevata specializzazione, per lavorare insieme in situazioni disagiate, come quelle africane, in corso di epidemie. L’Inmi ha contribuito finora con 5, virologi da marzo 2014, due dei quali, quali team leader, hanno partecipato alle riunioni di coordinamento per la Guinea Konacry.
Già a febbraio del 2014, l’Inmi aveva contribuito con gli altri Istituti del consorzio che partecipa al progetto per i laboratori mobili europei all’invio e all’attivazione di un unità mobile in Nigeria per la rilevazione delle febbri emorragiche. Questa unità, inizialmente dedicata alla rilevazione della febbre di lassa è ora utilizzata per combattere l’epidemia di ebola ed è stata inviata nei focolai epidemici di quel paese. Attualmente è a Port Harcourt. Le attività di supporto fornite, inoltre, non si limitano solo al laboratorio.
Ad agosto 2014, infatti, su richiesta del WHO, Inmi ha inviato un clinico esperto in Nigeria per fornire competenze cliniche e supporto tecnico alla gestione delle unità di isolamento speciale per Ebola a Lagos. All’ inizio dello scorso settembre è poi partito dall’Inmi di Roma il terzo laboratorio mobile europeo di massima sicurezza. La destinazione finale è Foya, in Liberia, uno dei principali epicentri dell’epidemia di Ebola. Il laboratorio è stato attivato il 14 settembre ed è localizzato in prossimità del centro di trattamento per pazienti di Ebola a Foya, Lofa County, gestito da Medici Senza Frontiere. L’Inmi, in particolare ha curato la preparazione del laboratorio, la spedizione, il montaggio e l’attivazione del laboratorio, garantirà la presenza di propri virologi fin dal primo team. Il Laboratorio era originariamente destinato alla Tanzania dove l’Inmi opera da circa 10 anni.
“Dall’inizio dell’epidemia – ha inoltre ricordato Ippolito – l’Inmi Spallanzani ha organizzato e gestito oltre 500 ore di formazione per medici, personale dei laboratori, task-force. Tutti i materiali sono disponibili via web”.
Gennaro Barbieri – Quotidiano sanità – 11 novembre 2014