Non si ferma la preoccupazione per Ebola: dopo che il virus ha oltrepassato i confini del continente africano, arrivando in Texas e, soprattutto, in Spagna, l’ansia per una diffusione dell’epidemia anche in Europa cresce. Gli esperti ripetono che il rischio è davvero basso: i contatti con i Paesi in cui infuria l’epidemia sono minimi, e le precauzioni adottate sono alte.
«L’unico stato con cui il Veneto aveva contatti frequenti, tra quelli in cui il virus è diventato endemico, era la Nigeria», spiega il dottor Zeno Bisoffi, direttore del Centro per malattie tropicali di Negrar. «Proprio da lì provenivano i casi di febbri malariche che abbiamo trattato. Ma ora la Nigeria è stata ufficialmente eliminata dalla lista dei Paesi endemici, perché negli ultimi mesi non si sono registrati nuovi episodi».
In ogni caso le strutture della regione si stanno preparando a ogni evenienza: l’aeroporto Marco Polo di Venezia già dall’estate ha messo a punto le procedure per formare un cordone sanitario in caso di emergenza. Se un passeggero appena sbarcato dovesse mostrare sintomi compatibili con la malattia, l’unità medica sarebbe pronta a isolarlo in attesa del trasporto in ospedale. «Al centro di Negrar abbiamo fatto diverse esercitazioni e sapremo cosa fare», racconta ancora il dottor Bisoffi. «Abbiamo pronti i kit protettivi: mascherine, guanti, occhiali, camici, tutto ciò che possa proteggere gli operatori dal contatto con saliva, sangue, sudore. Se dovesse arrivare in ospedale un caso sospetto, la procedura prevede di isolare il paziente e di inviare, con un corriere già predisposto, un campione di sangue a Roma per il test che sarà ripetuto due volte. Nel caso in cui il risultato dovesse essere positivo a Ebola, il paziente dovrà essere trasportato all’ospedale “Spallanzani” della capitale o al “Sacco” di Milano, le uniche due unità ad alto isolamento».
Continua la formazione degli operatori: mercoledì i rappresentanti del centro di Negrar si sono confrontati con gli esperti dell’Istituto nazionale per le malattie infettive, mentre per venerdì prossimo il Dipartimento per la prevenzione della Regione ha organizzato un incontro di aggiornamento all’ospedale di San Bonifacio. Ma Ebola è davvero una malattia senza speranza, oppure esiste una cura? «Fintanto che il virus è rimasto confinato in Africa, non c’erano grandi interessi economici a smuovere le case farmaceutiche», spiega il professor Giorgio Palù, presidente della Società europea di virologia. «Ci sono farmaci attivi contro Ebola, ma solo nei modelli di cellule in vitro o di sperimentazioni su animali». Eppure proprio l’equipe del padovano Palù sta sperimentando a Stoccolma una molecola che dovrebbe inibire l’entrata del virus nelle cellule. «È ancora presto per pubblicare i risultati della ricerca. Abbiamo appena mandato il nostro lavoro a una rivista scientifica internazionale, appena pronta la renderemo nota».
Intanto, però, la lotta contro Ebola continua a essere durissima in Africa, da dove tutto è partito. In Sierra Leone, una delle zone più colpite, operano i medici del Cuamm, associazione di volontariato nata a Padova nel 1950. La scorsa settimana altri due volontari hanno raggiunto il team di quattro medici che gestisce un piccolo ospedale nel distretto del Pujehun. La situazione che descrive il vicepresidente Andrea Borgato è disperata: «Ora il problema più grande, oltre all’epidemia, è la carestia. La zona è isolata dalla quarantena e nei mercati non si trova nulla. Noi cerchiamo di formare il personale locale e di portare acqua e cibo. Un lavoro immane».
Angela Tisbe Ciociola – Corriere del Veneto – 10 ottobre 2014