Esclusi. La Regione ha tagliato fuori dal circuito delle nuove frontiere terapeutiche in materia di epatite C tutti gli ospedali periferici. All’insegna della suddivisione delle strutture sanitarie in “hub” e “spoke”, a rischiare di rimanere con il cerino in mano sono circa settecento pazienti veneti.
Per ricevere le nuove cure infatti dovranno lasciare i piccoli ospedali “sotto casa” (gli spoke) e macinare decine di chilometri per raggiungere i centri di eccellenza (gli hub), le strutture dei capoluoghi. Una decisione che penalizza i malati di epatite C e che ha scatenato la durissima reazione del partito democratico: il consigliere regionale del Pd, Franco Bonfante, ha presentato insieme ai colleghi Lucio Tiozzo e Roberto Fasoli, un’interrogazione che punta il dito contro il decreto attraverso cui vengono individuati i centri regionali autorizzati alla prescrizione dei farmaci antivirali per l’epatite C curati con la «triplice terapia». «Autorizzando solo i centri delle città capoluogo, a discapito di realtà come Legnago, Bussolengo, Este, Castelfranco, Vittorio Veneto, Conegliano, si obbligano i pazienti a muoversi per 50 o 60 km per più volte al mese e per lunghi periodi»,denunciano «Con la conseguenza che spesso dovranno essere accompagnati e perdere giornate di lavoro, quando già la malattia di per sé causa problemi proprio con il lavoro». Il decreto che rivoluziona la somministrazione della nuova terapia porta la firma di Domenico Mantoan: nella nota il segretario alla Sanità elenca le motivazioni che hanno condotto all’elezione della rosa di ospedali che potrà erogare i nuovi farmaci. In cima alla lista, l’affermazione che è giunto ormai il momento di tener fede alla riorganizzazione dei servizi imposta dal piano socio sanitario regionale, oltre al fatto che i nuovi farmaci richiedono una somministrazione controllata da un centro di terzo livello. «Escludere a priori tutti gli ospedali periferici, anche quelli che da anni si occupano del problema, spesso con grande professionalità, ha delle conseguenze pesantissime per i malati di epatite C. La Giunta deve intervenire tempestivamente per ottenere la revisione del decreto», attaccano Bonfante, Tiozzo e Fasoli, che poi snocciolano le conseguenze cui potrebbe condurre la decisione regionale: «In alcuni casi, con i malati più fragili sul piano economico o psicologico, si produrrà inevitabilmente una rinuncia od una riduzione della cura e solo quello sarà purtroppo il risparmio nell’acquisto delle medicine sperato da una scelta cervellotica e sbagliata, che nasconde probabilmente altre ragioni rispetto a quelle dichiarate». Sulla riorganizzazione dell’erogazione della «triplice terapia» prende posizione anche la Cgil medici: «Il diritto alle cure è un diritto universale che interessa sia i cittadini che abitano nei centri urbani che i cittadini che vivono nei piccoli paesi. Ci pare incomprensibile la scelta di autorizzare solo pochi centri specialistici in Veneto per la prescrizione dei nuovi farmaci per l’epatite C, non considerando la diffusione dei pazienti sul territorio, fino ad ora curati da una rete specialistica competente e accessibile», hanno messo nero su bianco Tiberio Monari e Assunta Motta, segretari veneti della Cgil-medici e Funzione pubblica.
Il Mattino di Padova – 15 gennaio 2013