Sbrogliare la matassa delle etichette alimentari nel rispetto delle regole europee. Il tavolo tecnico convocato ieri sera al ministero dello Sviluppo economico si è concluso con una sostanziale concordanza di vedute (ma con qualche sfumatura): i ministeri si incaricano di verificare la migliore soluzione giuridica, una legge nazionale o un provvedimento europeo, per arrivare all’obbligatorietà del sito di produzione.
Nel comunicato il ministero di Federica Guidi recita che «i partecipanti all’unanimità hanno confermato l’importanza dell’indicazione della sede dello stabilimento di produzione nell’etichetta e hanno condiviso l’opportunità di verificare presso l’Ue un percorso in grado di assicurare la sua obbligatorietà anche a livello nazionale in un quadro di certezza e stabilità giuridica per le imprese».
Il tavolo tecnico arriva dopo il vespaiosollevato, loscorsodicembre, con il regolamento Ue 1169/2011 che, tra l’altro, rende facoltativa l’indicazione dello stabilimento di produzione. Ieri erano presenti i tecnici dei ministeri di Politiche agricole, Salute e Politiche europee e i rappresentanti di Federalimentare, Federdistribuzione, Confapi, Coldiretti, Confagricoltura e Copagri.
Il regolamento Ue è un danno per il made in Italy? «Sì – risponde Paolo Patruno, responsabile degli affari europei di Federalimentare presente al tavolo tecnico – Ma attenzione pensare di reintrodurre l’obbligo in etichetta solo in Italia non è lo strumento per tutelare il Made in Italy agroalimentare e i consumatori. La competizione tra le imprese italiane ed estere non avverrebbe ad armi pari: sosteniamo quindi fermamente che la soluzione sia quella di sollecitare l’Ue a rendereapplicabilel’obbligoatutti i 28 Stati membri e di spostare il dibattito in sede europea». È la soluzione dai tempi più lunghi? «Può darsi – conclude Patruno – ma bisogna pur iniziare».
Per Rolando Manfredini, responsabile della sicurezza alimentare di Coldiretti, «l’indicazione obbligatoria è doverosa e deve andare di pari passo con l’indicazione dell’origine dei prodotti agricoli. Se non si riesce significa spingere sul pedale della delocalizzazione produttiva o almeno la sede legale di una società può essere in Italia ma la produzione può essere realizzata in qualsiasi paese. E addio made in Italy». Non basta il responsabile delle informazioni sull’etichetta? «Non funzionerà mai – risponde Manfredini – perchè potrebbe risiedere in un altro Paese». Il regolamento comunitario 1169/2011 prevede che gli Stati membri possano introdurre obblighi aggiuntivi, ma solo per categorie specifiche di alimenti e purché giustificati dalla protezione della salute pubblica, dalla prevenzione delle frodi e contro la concorrenza sleale.
Il Sole 24 Ore – 12 febbraio 2015