Ogni due minuti una casa viene svaligiata. Le forze dell’ordine non presidiano più il territorio. Da Nord a Sud i cittadini vivono nella paura. E si organizzano per difendersi da soli
di Fabrizio Gatti. Un tempo i cartelli sulle strade davano il benvenuto nella «città del sole», nel «paese dei mirtilli». Ora ti salutano con pannelli luminosi come questo, piantato a Saonara lungo la provinciale tra Padova e la Laguna di Venezia: «Sicurezza, nel dubbio chiama il 112». Un invito scontato? No, non lo è. Ci sono veneti che ormai non telefonano più ai carabinieri. Se vedono un ladro, gli sparano.
Walter Onichini, 32 anni, il commerciante all’ingrosso di carni che l’estate scorsa con un fucile a pompa ha ferito Elson Ndreca, 23 anni, albanese, da queste parti è considerato un uomo coraggioso. «Una medaglia d’oro al macellaio. Doveva farlo secco a bruciapelo…», commenta un lettore, Enrico Franchin, primo in un elenco di osanna lungo diverse pagine online, sull’edizione digitale del “Mattino di Padova”. Stesso clima in Lombardia quando, poco prima di Natale, Mirko Franzoni, 29 anni, meccanico, ha ucciso con una fucilata Eduard Ndoj, 26 anni, anche lui albanese: il presunto ladro è stato catturato da un gruppo di abitanti a Serle, un borgo appena fuori Brescia, dopo un furto nella notte a casa di Franzoni e due ore di caccia all’uomo nei boschi. Due ore in cui nessuno ha chiamato il 112.
Italia a mano armata
A Fiumicino, alle porte di Roma, è Alina Racu, 39 anni, proprietaria di un bar, a scatenare il coro dei giustizieri. Con un coltello da cucina la barista romena ha trafitto a morte Manuel Musso, 29 anni, uno dei due banditi italiani entrati nel locale armati di pistola per rapinarle l’incasso. «Brava!», si legge tra le tante parole di solidarietà sul sito del “Messaggero”. E proprio in questi giorni vicino a Bergamo, Lega e Pd chiedono la grazia per un imprenditore, Antonio Monella, 50 anni, condannato definitivamente per omicidio volontario a 6 anni e 2 mesi e 150 mila euro di risarcimento, dopo avere ucciso un ladro otto anni fa.
Spari e grida salgono da un Paese saccheggiato, rabbioso. Anche per questo spinto oltre i confini del razzismo. Il ministero dell’Interno ha perso il conto delle armi legalmente in circolazione: cancellato il catalogo nazionale, nessuno sa dire quante siano. Nel frattempo si stanno preparando tagli per 1,8 miliardi agli stipendi di poliziotti e carabinieri e la chiusura di oltre duecento uffici. Perfino il prefetto di Vicenza, Eugenio Soldà, ha rotto il tabù della prudenza. «Quando vado allo stadio tengo in macchina una mazza», ha detto ai giornali Soldà in gennaio: «con quella gente non si sa mai». È l’accettazione della violenza, battute comprese, come etica del nuovo mondo che ci sta cambiando.
Ogni due minuti in Italia una casa viene svaligiata: 238 mila i furti in abitazione denunciati nel 2012. Un aumento del 114 per cento rispetto al 2004 e del 40 per cento rispetto al 2010, secondo la ricerca pubblicata dal centro studi “Transcrime” dell’Università Cattolica di Milano e dell’Università di Trento. Le nuove bande di ladri visitano soprattutto i paesi di campagna più indifesi, dove la stazione dei carabinieri o l’ufficio di polizia sono a decine di chilometri. Il record va alla provincia di Rovigo con il 237 per cento di furti in più, Forlì con il 232, Mantova con il 228 per cento, Terni con il 224.
È l’Italia dei campanili che celebrava il quieto vivere. Più indietro Milano e Reggio Calabria, con un aumento comunque del 203 per cento. Su scala regionale, nella classifica della tranquillità perduta è prima l’Umbria, dove rispetto a dieci anni fa le razzie in casa sono cresciute del 166 per cento. Dietro, la Lombardia con il 156 per cento in più, la Toscana con il 141 per cento e il Friuli Venezia Giulia con il 140 per cento. «I dati sono sorprendenti, anche perché non in linea con l’andamento di altre fattispecie criminali», spiega Marco Dugato, ricercatore di “Transcrime”: «Questo tipo di reato in appartamento presuppone un livello di pianificazione molto alto da parte dei criminali. I ladri scelgono con cura i propri bersagli, le modalità di azione e il momento in cui colpire. Si tratta di gruppi o singoli altamente specializzati: questo ci porta a escludere la crisi economica come uno dei fattori collegabili all’incremento».
TERRITORIO SENZA STATO
Non si tratta soltanto di ladri italiani, ovviamente. Una serie di norme favorevoli alla criminalità rende l’Italia molto vulnerabile rispetto ad altri Stati dell’Unione Europea. E in un periodo di globalizzazione, la malavita varca le frontiere e sceglie il Paese dove il codice penale è più morbido. Anche per questo, secondo un sondaggio sommario tra alcuni commissariati di Milano e Roma, su dieci ladri d’appartamento arrestati tre sono italiani e sette stranieri.
L’incremento dei furti in casa è stato però accompagnato in questi anni da una drastica riduzione del personale di polizia, carabinieri e Guardia di finanza. «Dai 107mila poliziotti», rivela Giuseppe Tiani, segretario generale del sindacato Siap, «a luglio 2013 ci è stato comunicato che siamo scesi sotto le 95mila unità. Un taglio generalizzato a partire dal penultimo governo Berlusconi con un blocco del turnover al 20 per cento: significa che ogni dieci dipendenti che vanno in pensione ne sostituiscono soltanto due. È vero che degli ottomila Comuni d’Italia, soltanto 4.997 hanno un ufficio dei carabinieri o della polizia sul proprio territorio. Ma c’erano le pattuglie che andavano nei paesi limitrofi. Oggi quelle pattuglie sono state tagliate». Nelle città ha drenato personale anche l’invenzione del poliziotto o del carabiniere di quartiere: due dipendenti a piedi che in caso di necessità devono chiedere aiuto ai colleghi in auto. Il risultato è che invece di due persone autosufficienti per ogni chiamata, se ne devono impiegare almeno quattro. E si lasciano scoperte altre zone.
Basta guidare la notte senza prendere l’autostrada. Da Serle, il paese bresciano dove prima di Natale è stata organizzata la caccia al ladro, a Legnaro, il piccolo borgo padovano dove Walter Onichini ha sparato all’albanese che gli era entrato in casa, sono centocinquanta chilometri di potenziale impunità. Non si vede una sola pattuglia. Durante il suo mandato, il ministro dell’Interno Roberto Maroni aveva dirottato fondi che sarebbero andati alla polizia di Stato e ai carabinieri, per potenziare con moto, fuoristrada e fuoriserie le polizie locali, quelli che un tempo si chiamavano vigili urbani. Soprattutto qui, tra Lombardia e Veneto: il progetto leghista di una polizia padana. Mantenere efficiente il giocattolo autonomista però costa caro. I piccoli Comuni a fine inverno non riescono nemmeno ad asfaltare le strade, bucate come mulattiere. Figuriamoci assumere più vigili, pagar loro gli straordinari notturni e la benzina. Così già alle due del pomeriggio quelle centinaia di milioni di euro sperperati al Nord vengono gentilmente parcheggiati nelle autorimesse.
All’ora dei telegiornali serali, come tutte le caserme di paese, chiude la stazione dei carabinieri di Legnaro, nel Padovano. «In caso di mancata risposta, telefonare al 112», è scritto sul cartello all’ingresso. Il tempo di attesa dipende da dove siano le due o tre pattuglie in servizio su un’area grande quasi quanto Firenze. In città andrebbe addirittura peggio: inutile sperare in un sopralluogo, se il reato è un furto con scasso. «Venga in commissariato a fare denuncia», ci si sente dire.
SUPERMARKET DELLE ARMI
Quando l’hanno svegliato i quattro che gli stavano rubando soldi, gioielli e l’Audi S4, Walter Onichini non ha cercato il telefono. Il commerciante di carni ha subito sparato dalla finestra con il fucile. Volevo intimorirli, ha confessato al magistrato. Ora è indagato per tentato omicidio. Il meccanico di Serle è invece sotto inchiesta per omicidio. Mirko Franzoni ha sorpreso Eduard Ndoj in casa ma non è riuscito a fermarlo. Il ragazzo albanese è stato ucciso dopo oltre un’ora: durante una colluttazione per ottenere la restituzione dei soldi, secondo il racconto di Franzoni. La fucilata, sostiene lui, gli è partita per sbaglio. Uno spara in aria e ferisce un uomo quattro metri più sotto. L’altro si lancia in un corpo a corpo con il colpo in canna.
Se anche questa versione dei fatti fosse vera, non ci sarebbe da stupirsi. Procurarsi un’arma in Italia è ormai facile quasi come in Texas. Chiunque, se non ha precedenti penali ed è mentalmente idoneo, la può detenere. Ma non ci sono corsi da frequentare. Nemmeno per maneggiare un fucile d’assalto. A Quarrata, provincia di Pistoia, un’armeria vende Remington, Colt, Bushmaster calibro 223 o 308, che è un modo dei produttori per camuffare le munizioni 5,56 e 7,62 da guerra. Come se per andare a caccia o al poligono fosse necessario avere armi in grado di centrare un bersaglio a due chilometri.
In via San Pietro a Genova si possono comprare legalmente pistole calibro 6,35 a 50 euro. In viale Togliatti a Bologna le Beretta 7,65 sono in vendita a 150 euro. A Corsico, alle porte di Milano, un kalashnikov costa 560 euro, i fucili da fanteria di ultima generazione tra i 580 e i 2.800 euro. La licenza si rinnova ogni sei anni. Nessuno nel frattempo controlla l’idoneità psicofisica del titolare. Una facilità di acquisto e di impiego che ha messo l’Italia nel mirino della Commissione europea.
Non abbiamo il record dei “ferri” in circolazione: 12 armi da fuoco detenute legalmente ogni 100 abitanti, contro le 45 in Finlandia, 31 in Francia e Svezia, 30 in Germania. Ma siamo i primi assoluti come impiego: 0,71 omicidi da arma da fuoco ogni 100mila abitanti, contro lo 0,45 in Finlandia, 0,06 in Francia, 0,19 in Germania. Più che il numero di armi in circolazione in uno Stato, conta la psicologia dei suoi abitanti. Ed è proprio questo il punto. Pochi giorni fa a Riese Pio X, provincia di Treviso, un commesso di 47 anni ha sparato senza ragione con due pistole calibro 9 regolarmente detenute. I carabinieri gli hanno sequestrato le armi e trecento cartucce. In dicembre a Bassano, provincia di Vicenza, la polizia seguendo un’indagine per truffa ha scoperto per caso un uomo che girava illegalmente con una pistola calibro 38 special.
In casa aveva un arsenale di fucili d’assalto e di precisione regolarmente denunciati per uso sportivo che, nonostante la grave infrazione, non sono stati sequestrati. La decisione come previsto dalla legge è stata affidata al prefetto di Vicenza: quello che dice di andare allo stadio con la mazza in macchina. Il mese scorso a Nettuno, vicino a Roma, il commissariato ha arrestato un giovane spacciatore di droga. Sfruttando la sua licenza, sempre per uso sportivo che già gli permetteva di detenere quindici armi da fuoco, il ragazzo tra il 18 dicembre 2013 e il 13 gennaio 2014 ne ha comprate altre venti. Tutte dalla stessa armeria, insieme con centinaia di munizioni. A casa sua però i poliziotti non hanno trovato nulla. Fucili e pistole, trentacinque in tutto, erano stati rivenduti sul mercato illegale.
LADRI IMPUNITI
Escludendo i militari e i dipendenti delle forze di polizia, gli italiani che detengono almeno un’arma da fuoco sono un milione e 148 mila: 53.790 sono guardie giurate; 23.018 i permessi rilasciati per difesa personale; 373.693 per attività sportiva; 697.776 per caccia, secondo i dati forniti dal ministero dell’Interno. Il numero di fucili e pistole in circolazione però non lo conosce nessuno: da quando la lobby bresciana dei produttori ha convinto il ministro Maroni e la maggioranza in Parlamento ad abrogare il catalogo nazionale, si è rinunciato a mettere ordine. Nonostante le decine di milioni stanziati dalla Ue per realizzarla, l’anagrafe informatica delle armi è stata cancellata da una legge nel 2011: lo stesso anno in cui in Norvegia l’insospettabile Anders Breivik e le sue 77 vittime mostrarono all’Europa quanto sia pericoloso favorire la vendita incontrollata di fucili e pistole.
Franco Birolo, 49 anni, era un tranquillo commerciante. Si è armato dopo una decina di tentativi di svaligiare il suo negozio. Tredici chilometri dalla stazione dei carabinieri più vicina, una sola pattuglia su 50 chilometri quadrati. La notte del 26 aprile 2012 in provincia di Padova, Birolo ha ucciso con una Glock calibro 9 il ladro che lo ha aggredito nella sua tabaccheria sotto casa. E ha fatto arrestare il complice. Igor Ursu, 23 anni, moldavo, però non è caduto in negozio. È morto in strada. Per questo il tabaccaio si deve ora difendere dall’accusa di omicidio volontario. Come se gli avesse sparato alla schiena. Danno subìto: 600 euro di sigarette, 6mila euro per rifare la vetrina.
Costi legali previsti: circa 50mila euro per l’avvocato e i tre periti balistici ingaggiati per difendersi, più l’eventuale risarcimento alla famiglia del bandito, più la lentezza del processo fermo da allora alla fase preliminare. Il complice di Ursu, Gheorghe Neagu, 20 anni, romeno, ha invece patteggiato la pena a due anni e grazie alla sospensione condizionale è stato scarcerato. È tornato, così ha promesso, alle isole Baleari dove viveva. Senza pagare un solo euro per i danni procurati al tabaccaio. «Mi hanno detto che dovrei fargli una causa civile, per avere una sentenza tra vent’anni», commenta Birolo: «Ho riflettuto tanto, sa. Il problema non si risolve chiedendo più vigilanza. La soluzione è un’altra: questi criminali una volta presi devono scontare la pena. Potrebbero essere impiegati in lavori socialmente utili. A me il lavoro dà pochi margini di guadagno, vivo in un paesino. Ho trovato quattro predoni dentro la casa dove abito con mia moglie e mia figlia. Cosa dovevo fare, stare a letto?».
Birolo ora partecipa a un gruppo di sorveglianza via telefono creato con “WhatsApp”: «Se qualcuno nota qualcosa ci si passa la segnalazione e si avvertono i carabinieri».
Anche il ladro ferito da Walter Onichini è tornato subito libero: «Era venuto a rubare a Legnaro dalla Valle d’Aosta», dice Lorella Roncolato, la mamma del commerciante indagato per tentato omicidio: «È già fuori per decorrenza termini. Nonostante cinque decreti di espulsione». Al commissariato Lambrate, zona Est di Milano, gli agenti raccontano di un romeno condannato a 4 anni per furto con scasso. In Romania, non in Italia: «Lo abbiamo arrestato pochi giorni fa e messo a disposizione dell’autorità per l’estradizione. La Romania aveva diffuso un ordine di cattura internazionale. Loro mica scherzano». Nemmeno a Varese, però. Un’associazione offre lezioni dal titolo «Coltello, uso e difesa». Si imparano tecniche come il taglio, il blocco, l’affondo. Oppure organizzano corsi di «home defense»: tiro con la pistola in ambiente abitativo, tra il letto e il comodino e perfino al buio. Gli appassionati giurano che sia solo una disciplina sportiva.
Lo scenario, riferisce su un giornale locale la cronaca di una gara al poligono, «riproduce una banca in cui è in corso una rapina: il tiratore, sfruttando sedie e scrivanie, deve proteggersi e rispondere al fuoco. La seconda ambientazione è invece un contesto urbano, con il concorrente vittima di una aggressione armata. La terza situazione…». Ogni sagoma che cade è un pezzo di Belpaese che muore.
L’Espresso – 8 marzo 2014