A differenza di un governo monocolore costruito su un solo partito, un esecutivo di coalizione si fonda, come è logico, su compromessi e accordi fra i partner. A maggior ragione un governo di grande coalizione che vuole tenere insieme un certo numero di storici avversari. Ne deriva allora che il caso Nitto Palma è un brutto segnale.
Non solo e non tanto per la difficoltà di comporre il quadro delle commissioni con quest’ultimo tassello, la Giustizia di Palazzo Madama, quanto per l’ombra di grave incertezza che si proietta sul cammino politico di Enrico Letta. Da un lato, è del tutto illogico che il governo – questo governo – possa cadere sull’elezione di un presidente di commissione, avendo già sistemato tutte le altre caselle fra Camera e Senato. Dall’altro, il Pd sta diventando un caso limite. La disciplina interna è sempre più una variabile indipendente. È stato così, come sappiamo, nel voto per il Quirinale, quando il centrosinistra ha sfiorato il suicidio: figurarsi quali rancori e quali ripicche potevano rovesciarsi contro il candidato di Berlusconi a una carica parlamentare. E dunque i patti con il Pdl sono saltati. Con quale argomento? Il più semplice: «Nitto Palma non ci piace… Nitto Palma è amico di Cosentino… Nitto Palma è un nemico». Sfortuna vuole che le grandi coalizioni si facciano proprio con i «nemici», non con gli amici. E che il Pdl si sia rivelato molto astuto nel mostrare la più assoluta lealtà all’accordo di spartizione delle presidenze. Ne consegue che il centrosinistra è in trappola. Oggi pomeriggio può continuare ad andare in ordine sparso al voto: per cui a Nitto Palma mancherebbero di nuovo i voti decisivi. Può persino mettersi nella condizione di far entrare in gioco i Cinque Stelle, i quali potrebbero – ad esempio – cominciare a votare un esponente del Pd. Con conseguenze imprevedibili, nessuna delle quali incoraggiante per la stabilità del governo. Oppure può accadere che il Pd ritrovi una parvenza di disciplina interna e accetti, sia pure a malincuore, di sostenere il candidato berlusconiano, in sintonia con le intese preliminari. E il candidato, allo stato delle cose, è ancora Nitto Palma, sebbene non si possa escludere un gesto “in extremis” di Berlusconi: un cambio di cavallo che sbloccherebbe la situazione e servirebbe a dimostrare una volta di più che oggi la figura chiave della coalizione è lui. In ogni caso, chi provocasse la caduta del governo per un litigio sulle commissioni parlamentari si assumerebbe una terribile responsabilità. E dovrebbe renderne conto. Tanto più che su altri terreni l’esecutivo comincia a dare segni di vita. Lasciamo da parte l’idea di riunire nell’abbazia toscana i ministri per aiutarli a fare amicizia: è un’iniziativa che si presta a qualche ironia e i precedenti non sono lusinghieri, ma potrebbe anche funzionare. Quello che conta è che ieri il Parlamento ha approvato il Def, il documento economico innovativo che afferma il principio del superamento dell’austerità. Rispetto all’orizzonte strategico dell’esecutivo Letta, e agli occhi dell’Europa che studia le mosse italiane, questo documento è assai più importante delle scaramucce di potere sulle commissioni parlamentari. Occorre che ne siano consapevoli i capi dei partiti componenti la coalizione. Dove in effetti si registra oggi una grave asimmetria fra la forza relativa del Pdl berlusconiano e la debolezza di un Pd acefalo. Un Pd che è in tormentata attesa di darsi almeno un reggente nell’assemblea di sabato. In altre parole, la questione Nitto Palma è più che risolvibile. Ma la coesione interna di una maggioranza tendente all’incoerenza, è invece un problema di ordine psicologico prima ancora che politico.
Stefano Folli – Il Sole 24 Ore – 9 maggio 2013