Studiano più velocemente, sono meno attenti al voto d’esame e hanno un occhio costantemente aperto sul mondo del lavoro. Corrono, macinano crediti e nel frattempo fanno piccoli lavori saltuari. Con lo sguardo dritto verso il futuro, per paura di perderlo, di non arrivarci in tempo. Loro, gli studenti veneti, sono i figli della crisi economica, e lo sanno. Perciò non si fermano, non rifiutano voti e cercano di entrare nel mercato del lavoro il più presto possibile. A scattare questa fotografia è il rapporto annuale di AlmaLaurea, dedicato alla condizione occupazionale dei laureati.
I veneti si laureano in media un anno prima dei loro colleghi italiani, intorno ai 25 anni, con un voto di laurea di un punto o due più basso (a Verona e Padova) e di un punto più alto (a Venezia). Guardano al concreto, insomma. Pensando alla formazione universitaria quasi fosse un passaggio obbligato e dimenticando in alcuni casi le occasioni che offre. Tant’è che in pochissimi decidono di passare un anno di studio all’estero. La percentuale di chi lo fa è molto bassa, in Italia si aggira intorno al 12% a Verona e Padova si attesta intorno al 13% e sale solo a Venezia con il 18% a Iuav e il 29% a Ca Foscari. «Un risultato molto buono per noi, questo – commenta Michele Bugliesi, rettore di Ca Foscari – merito certamente delle nostre politiche di internazionalizzazione oltre che, ovviamente del tipo di corso di studi. A Venezia il percorso linguistico è molto forte e in quell’ambito i ragazzi sono più interessati a partire».
Se i veneti fanno fatica ad andarsene, crescono invece i laureati provenienti da fuori regione, che ad esempio nell’ateneo scaligero sono il 27%, più nei corsi di laurea magistrali che in quelli triennali. «È un dato che ci aspettavamo – afferma Tommaso dalla Massara, delegato all’Orientamento e alle Strategie occupazionali dell’università di Verona – visto che da tempo monitoriamo il fenomeno, che puntiamo ad incrementare con delle iniziative specifiche. Stiamo lavorando, inoltre, per renderci attrattivi anche all’estero, per far sì che il nostro diventi un ateneo più internazionale, sia in entrata che in uscita». Tra le politiche universitarie «programmatiche» c’è poi quella dei tempi stretti che, vista la concorrenza dei colleghi d’Oltralpe, fa parte da sempre delle variabili a cui le università puntano, anche per ottenere più fondi dal ministero. E su questo fronte le università venete sembrano avvicinarsi all’obiettivo. La media italiana per il conseguimento della laurea triennale è di 26,4 anni, a Verona si scende a 25,9, a Padova a 25,8 a Iuav a 25,5 e a Ca’ Foscari a 25,4. «Mi sembra molto positiva questa variabile sulla velocità – dice Bugliesi – perché da sempre chiudere un percorso velocemente permette di rimanere al centro delle dinamiche. Perdersi in tempi lunghi non aiuta».
Sono in molti, inoltre, i giovani a portare per la prima volta la laurea in famiglia: il 78% nell’ateneo scaligero, un dato che, anche nelle precedenti rilevazioni, era molto superiore alle medie nazionali e che non viene smentito nemmeno nelle altre università dove la percentuale scende di poco, arrivando al 76% a Padova al 73% a Venezia Ca’ Foscari e al 66% a Iuav. A Padova il dato più variabile riguarda invece l’origine sociale: a frequentare i corsi di laurea più avanzati sono soprattutto gli studenti benestanti. Alla triennale, la maggior parte degli iscritti (28,2%) è formata da figli di operai, che portano per la prima volta una laurea in famiglia nel 75,6% dei casi; alla magistrale prevalgono i figli di impiegati appartenenti al ceto medio (28%), mentre nelle magistrali a ciclo unico la classe più rappresentata è la borghesia (33,1%), e il numero di studenti con almeno uno o entrambi i genitori laureati sfiora il 40%. «Il numero di chi porta una laurea in famiglia è un ottimo segnale – dice Paolo Gubitta, delegato del rettore alle attività di Placement – figlio dei tempi e di una società che vuole recuperare il gap culturale del passato: chi non ha potuto studiare ha capito l’importanza di mandare i figli all’università. E in questo il 3+2 aiuta: la triennale facilita l’accesso al primo step della cultura. Il dato sugli studenti lavoratori, infine, indica che serve una nuova organizzazione: le università devono offrire corsi serali, estivi e nei weekend».
Il Corriere del Veneto – 29 maggio 2015