Perché la norma che vieta di sommare incarichi dirigenziali ed elettivi non gli piace. E neanche a tanti politici, dal Pd a Fi ed Ncd. «Sto avendo più problemi dalle lobby degli Ordini professionali che non dal Mose o l’Expo, è una cosa pazzesca». Raffaele Cantone di fondo è un ottimista, e proprio non se l’aspettava. Che tangentisti e criminali gli facessero la guerra l’aveva dato per scontato, ma che pure medici e infermieri si mettessero di traverso era un’eventualità che non aveva considerato. Né poteva immaginare che una sua delibera anti-corruzione venisse impugnata al Tar dall’ordine degli avvocati, poco propensi a piegare la categoria a maggior trasparenza.
Senza parlare degli onorevoli, che dovrebbero dare l’esempio in questi tempi bui: esponenti del Pdl e del Ncd stanno provando addirittura a cambiare lo status giuridico degli Ordini, in modo da aggirare le decisioni dell’Anac (l’Autorità nazionale anticorruzione guidata dal magistrato) che lo scorso 25 ottobre ha sancito che tutti gli Ordini devono applicare le norme imposte dal decreto Severino. Che impediscono, per il principio dell’incompatibilità tra incarichi dirigenziali e «lo svolgimento di incarichi pubblici elettivi», che deputati e senatori possano guidare le varie associazioni di categoria. Una norma di buon senso, che serve a evitare possibili conflitti tra l’interesse pubblico e quello delle lobby.
Nonostante leggi già varate, invece, ognuno fa ancora come gli pare. Mentre gli attacchi alla delibera dell’Anac si intensificano. «Sono circondato», ripete ai suoi Cantone. Se gli avvocati, come ha scoperto “l’Espresso”, hanno addirittura fatto ricorso al Tar per evitare che l’associazione possa essere costretta dal 1 gennaio 2015 a trasformarsi in una casa di vetro (non sia mai!), in Parlamento esponenti del Pdl e del Ncd – d’accordo, pare, con onorevoli democrat – hanno presentato alcuni emendamenti che consentirebbero agli Ordini di evitare i controlli dell’Anac e di salvare un po’ di poltrone.
I forzisti Andrea Mandelli e Luigi D’Ambrosio Lettieri hanno firmato un emendamento ad hoc senza porsi nemmeno la questione dell’opportunità: essendo presidente e vicepresidente dell’Ordine dei farmacisti italiani, sarebbero i primi a beneficiare della loro proposta. Secondo loro le federazioni che presiedono dovrebbero essere qualificate come «enti pubblici non economici a carattere associativo, soggetti esclusivamente alla vigilanza del ministro competente».
Emendamento simile è stato presentato anche da Maurizio Sacconi e Andrea Augello dell’Ncd, il partito di Alfano che sostiene il governo. Ma di certo la modifica non dispiacerebbe nemmeno ai senatori democratici Amedeo Bianco e Annalisa Silvestro, rispettivamente numero uno della federazione degli infermieri e dell’Ordine dei medici. «La banda del Bostik», li chiamano i maligni: incollati alle loro sedie, non hanno mollato gli incarichi nonostante la delibera di Cantone sia chiarissima. I quattro non possono restare con un piede in due scarpe.
Gli emendamenti sono solo l’ultimo atto di un braccio di ferro che va avanti da un anno. Per evitare di rispettare gli obblighi della legge Severino (oltre ai doppi incarichi, i piani triennali anticorruzione prevedono che i dirigenti degli Ordini mettano on line anche gli stipendi, eventuali consulenze, persino la loro situazione patrimoniale), il Comitato unitario che riunisce gran parte degli Ordini (il Cup) a fine 2013 chiese un parere pro-veritate al professor Piero Alberto Capotosti, che contestò l’applicabilità delle leggi anticorruzioni, essendo gli Ordini «enti pubblici associativi».
Un’ipotesi criticata dal ministero della Salute e bocciata da Cantone due mesi fa. Gli Ordini, ha sancito definitivamente l’autorità, sono da considerare semplici “enti non economici”, per questo soggetti alla Severino in tutto e per tutto. «Dal 1° gennaio 2015 faremo partire i controlli. Se non saranno rispettate le norme, ci saranno sanzioni disciplinari», spiegano dall’Anac. Sempre che la banda del Bostik non riesca prima a cambiare la legge. E salvare capre, cavoli e poltrone.
L’Espresso – 19 dicembre 2014