I vertici di Green Hill sono colpevoli di maltrattamento e animalicidio «oltre ogni ragionevole dubbio». Il pm Ambrogio Cassiani ne è sicuro e ritiene meritino condanne pesanti: 3 anni l’amministratrice Ghislaine Rondot, 2 il consulente della Marshall Bernard Gotti e il direttore Roberto Bravi, 3 anni e 6 mesi invece il veterinario Renzo Graziosi.
«Il decreto 116/92 che disciplina la protezione degli animali da laboratorio al contrario di quanto sostiene la difesa è vincolante eccome – ha argomentato ieri il pm durante l’udienza conclusiva del processo – . Se parliamo di maltrattamenti a Green Hill non ci riferiamo a cani presi a calci o incatenati al sole ma a una lesione sistematica dei pattern comportamentali. Anche la Cassazione chiarisce che il reato va interpretato in relazione al mancato rispetto dell’etologia dell’animale».
Per l’accusa c’è un motivo se l’allevamento di Montichiari è sempre risultato in regola a ogni controllo: «Quelle ispezioni erano effettuate sommariamente. E poi erano preordinate: le email scambiate tra gli imputati mostrano una prassi sedimentata di avvisi per tempo». E ancora: «L’azienda operava secondo una precisa strategia di vendita – ha proseguito il pm – . Poteva avere interesse a curare gli animali ammalati con dei farmaci che avrebbero reso inutilizzabili i cani dai propri clienti, cioè i laboratori? No, ovviamente. Che fare dunque delle bestie malate se non lasciarle morire, ucciderle o inviarle in Inghilterra per estrarne il sangue? Un raffronto tra i tassi di mortalità registrato durante 27 mesi di gestione di Lav e Legambiente e quelli di gestione Green Hill parla da solo: 98 cani morti nel primo caso, 2.977 nel secondo».
Sul versante opposto la difesa, a favore di un’assoluzione perché il fatto non sussiste o non costituisce reato. «Questo processo si è aperto all’insegna di numerose anomalie, sull’onda di una raffica di esposti degli animalisti e di un sentimento comune che vuole l’esecuzione in piazza degli imputati – ha arringato Luigi Frattini accanto al collega Enzo Bosio -. Il sequestro è stato un esproprio. Eppure i 67 verbali dei controlli da parte di più enti dimostrano che il benessere degli animali è stato rispettato. Si è tanto insistito sulla mancanza di spazi adeguati: la Procura però non ha mai sequestrato Canton Mombello». Per i difensori inoltre il decreto 116/92 traccia orientamenti e non obblighi, la cui mancata osservanza è punibile solo con una sanzione. Quanto alle parti civili – Lav, Leal, Enpa e Lega del cane – hanno chiesto un risarcimento di 500mila euro.
«Ci serviranno per istituire un fondo per la ricerca sui metodi alternativi alla sperimentazione», ha spiegato Gianluca Felicetti della Lav. «Ormai la giurisprudenza ha chiarito che tutti gli animali sono essere senzienti e vanno curati rispettandone l’etologia», ha concluso l’avvocato Carla Campanato per la Lav. Distinguere tra beagle da salotto e da laboratorio è inconferente». La sentenza arriverà il 23 gennaio. Comunque finirà, per gli animalisti sarà una svolta. «Per la prima volta in un tribunale si è sostenuto che anche i cani destinati alla sperimentazione hanno diritto a una soglia minima di benessere», ha osservato Piercarlo Paderno di Animal Amnesty.
di Beatrice Raspa – Il Giorno – 13 gennaio 2015