E’ da giovedì scorso che seicento quintali di pesche nettarine partite da Padova girano per mezza Europa. Girano da quando Putin ha fatto scattare l’embargo nei confronti di frutta, verdura, carni e formaggi dai paesi dell’Unione per ritorsione alle sanzioni europee per la crisi in Ucraina.
«Alla dogana hanno trovato una coda di milleduecento camion bloccati», sospira Ginka Prodanova, responsabile export della Dal Bello, azienda padovana dalla quale erano partiti i trenta Tir. I trasportatori macinano chilometri, contattano amici, aspettano istruzioni. Ma non si rientra in Italia. Semmai, la frutta si scarica in Lituania o in Polonia e poi si aspetta. Perché i Tir veneti non si arrendono e anche aspettare è una tattica.
Ieri ha funzionato: la Commissione europea ha deciso di dare un sostegno economico ai produttori di pesche, fiaccati prima da un’annata particolarmente produttiva che ha fatto calare i prezzi del 30% e poi dall’embargo russo. La Commissione ha deciso di aumentare dal 5 al 10% la quota di produzione da acquistare per la distribuzione gratuita, un acquisto da 20-30 milioni di euro che ha lo scopo di impedire il tracollo dei prezzi e del settore. Se tornano qui tutte le nettarine destinate alle tavole russe, il mercato crolla. Ecco perché i camion girano, aspettano, vanno e avanti e indietro con la speranza di riuscire ad aggirare l’embargo.
Per le pesche la Commissione Europea ha lanciato un’ancora di salvataggio. Ma poi ci saranno l’uva, i kiwi, le pere. E le mele, un carico di Granny partito da Verona è stato rimandato indietro. E ancora formaggi dop come grana, asiago, montasio, piave, carni e uova.
«L’export verso la Russia avviene attraverso la Lituania e la Polonia, che hanno accordi commerciali favorevoli con la Russia», spiega Romeo Zanotto, titolare della Due Erre, azienda del Centro Agroalimentare di Padova che da agosto a dicembre ogni anno esporta in Russia qualcosa come quattromila tonnellate di uva, kiwi e altra frutta, duecento camion l’anno. Le società lituane e polacche importano dall’Italia e poi esportano in Russia. Ora anche la Polonia soffre per l’embargo ma ha trovato una triangolazione con un paese fuori dall’Unione, come spiega Aldo Muraro, presidente di Unitalia, consorzio veronese che si occupa della filiera avicola. «Le aziende polacche esportano in Turchia, paese non soggetto a sanzioni, e da lì esportano in Russia». Nel settore ortofrutta un’altra triangolazione possibile è con la Serbia e chi ha partner commerciali fuori dall’Europa politica li mette al lavoro. Altrimenti bisogna ripiegare sull’Ungheria che, però, sospira Zanotto, acquista solo a prezzi stracciati. «Quaranta centesimi al chilo, la Russia compra a un euro».
«In genere , nel corso di questi embarghi politici, la merce alla fine, in qualche modo arriva», dice Daniele Marini, direttore scientifico di Community media research che firma il corposo Monitor delle imprese agroindustriali del Nord Italia. L’ultimo rapporto dice che le vendite del settore hanno per l’83,3% destinazione in Italia, il 10,6% l’Europa e il 5,6% i paesi extra UE. Formaggi e frutta, sopratutto, ma anche pasta, vino e bevande, prodotti da forno, spezie, prodotti per ora non toccati dal blocco di Putin.
Un’eccellenza veneta come il formaggio, invece, è nella black list, nell’indice dei prodotti proibiti. «Abbiamo fermato un paio di ordini in partenza, tra cui un piccolo carico di mascarpone per conto della Mila – riferisce Alessandro Zevio, responsabile marketing del consorzio veronese Agriform – I formaggi stagionati per ora non sono un problema, li teniamo in magazzino. Ma alla lunga…». Agriform è una cooperativa di secondo livello nata proprio per l’export, che pesa per il 40% sui 150 milioni di fatturato, la Russia copre una quota di 2,2 milioni, qualcosa come 40mila euro a settimana e , per ora, tiene i nervi saldi. I produttori di mozzarella del Trevigiano, invece, sono in emergenza. Come gli agricoltori, perché i prodotti freschi non possono aspettare. Il Centro Agroalimentare di Padova in questo momento ha 35 tir fermi e trenta che sono stati respinti alla frontiera. Fattura 450 milioni l’anno, il 60 per cento viene dall’ export e i commerci con la Russia costituiscono il 10%. Per la Dal Bello, in questo periodo la percentuale è dell’80%. «Abbiamo dovuto fermare 110 camion di uva, una fornitura col contratto già firmato – ammette la Prodanova – Speriamo che l’Europa si renda conto che, oltre la politica, c’è l’economia che deve andare avanti». Sbocchi non ce ne sono molti, l’Italia compra poco, la Germania meno del previsto. «Sì, la cosa va risolta a livello europeo», conviene Martino Cerantola, presidente della Coldiretti vicentina e vicepresidente di Coldiretti Veneto. «La maggiore preoccupazione è che la produzione destinata alla Russia si riversi sul mercato italiano: o si risolve l’embargo, o troviamo altre strade commerciali». I Tir non si fermano.
Monica Zicchiero – Corriere del Veneto – 12 agosto 2014