Carabinieri che a distanza di anni sconfessano sulle quote latte altri carabinieri, i quali avevano indotto in errore un giudice, che aveva perciò accreditato un dato choc, che logicamente era stato valorizzato dagli allevatori e riportato dai giornali e esaminato dalla Corte dei conti: è la catena di equivoci che, assai istruttiva su come possa montare la slavina di una notizia vera-ma-falsa, ora trova spiegazione e sfocia in un decreto di archiviazione firmato dalla medesima gip romana, Giulia Proto, che il 13 novembre 2013 aveva invece respinto la prima richiesta di archiviazione e ordinato alla Procura di indagare per l’ipotesi di falso in atto pubblico a carico dei funzionari dell’Agenzia ministeriale per le erogazioni in agricoltura (Agea).
La gip, infatti, si era mossa sulla base dell’informativa del 2010 dell’allora colonnello del Comando politiche agricole, Marco Paolo Mantile, oggi in aspettativa dall’Arma e fino a maggio 2016 dirigente della Regione Veneto del presidente leghista Luca Zaia nelle sedi di rappresentanza di Roma e Bruxelles.
Quel rapporto prospettava che in un algoritmo la modifica nel 2007 del parametro dell’età massima per una mucca da latte, alzato da 120 mesi a 999 mesi, oltre che contrastare con il buon senso di mucche 82enni, avesse prodotto «una differenza di 300.000 capi, pari a oltre il 20% dell’intera popolazione bovina a indirizzo lattifero»: il che aveva «arrecato un danno ai singoli allevatori ai quali sono state comminate pesantissime sanzioni sebbene le loro produzioni non avessero mai superato la quota nazionale assegnata dall’Unione Europea», e «allo Stato che in virtù delle multe non versate alla Ue si è visto decurtare i finanziamenti comunitari».
Adesso, però, sulla scorta di due nuove relazioni dei carabinieri (sia del Comando politiche agricole sia del Ros), la giudice rileva che furono «l’enfasi e le conclusioni dell’informativa del 2010» a «determinare una serie di equivoci sulla modifica del parametro». Il «dato certo» è che «il quantitativo di latte prodotto che viene comunicato all’Unione Europea è calcolato su quello dichiarato dai Primi acquirenti», va nel sistema operativo «Sian» gestito da Agea, e su esso vengono calcolate le multe. Tutta diversa è la «Bdn», cioè Banca dati nazionale dell’Istituto Zooprofilattico sperimentale di Teramo, che non serve a dare i numeri alla Ue, ma a definire il campione di controllo di competenza delle Regioni e a segnalare anomalie. Qui sta l’origine dell’equivoco: nel luglio 2007 Agea, anziché considerare un’età massima, «volle considerare tutti gli animali in allevamento sino alla loro macellazione». Ma «invece di modificare l’algoritmo, che avrebbe comportato tempi tecnici, per ottenere lo stesso scopo pensò di modificare il valore dell’età, portandolo al valore massimo consentito» dal codice informatico, «cioè 999». Il che significava non inglobare mucche di 82 anni, «ma solo» rilevare vacche che producevano latte oltre i 120 mesi «e che il sistema “non accettava”, con conseguenti anomalie riscontrate dalle Regioni».
Ad essersi dunque sbagliati — stando ora ai carabinieri del Comando politiche agricole e del Ros —, sarebbero stati i colleghi del 2010 che calcolarono 300.000 bovini da latte in più: dato che indusse anche la Corte dei conti a vagliare un possibile colossale danno erariale, ma che — scrive il Ros — «non trova conferma, non sussistendo alcuna specifica sul processo di calcolo utilizzato». Al contrario, «un’attività di riscontro» fa ora «asserire una differenza di capi in lattazione di 74.931, cioè un incremento del 5% del patrimonio complessivo», ma sempre e solo a fini di controlli nella «Bdn», e mai per le quote latte dove l’algoritmo «non ha comportato alcun documento falso sui dati comunicati alla Ue». Di qui l’archiviazione, pur restando «situazioni non proprio limpide, che tuttavia rivestono al più illeciti amministrativi e/o civili».
Luigi Ferrarella – Il Corriere della Sera – 2 dicembre 2015