Il ministro del Lavoro Giuliano Poletti le considera «fluttuazioni » tipiche di un Paese che sta uscendo da una lunga crisi. Davanti ai dati Istat raccomanda di «mantenere la capacità di osservare il quadro nel suo complesso». «E molti segnali – assicura – ci dicono che la ripresa c’è».
Ministro di che ripresa si tratta se il tasso di disoccupazione arriva a 12,7 per cento e fra i giovani addirittura al 44,2?
«Di una ripresa lenta che non ha ancora manifestato i suoi effetti sul lavoro, ma l’occupazione, come dopo ogni lunga crisi, è l’ultimo elemento a crescere. Per ora ci sono più investimenti, più consumi, più fiducia, meno ore di cassa integrazione: 65 milioni di ore in meno equivalgono a 111 mila lavoratori a tempo pieno. Le aziende, prima di fare nuove assunzioni, richiamano in servizio chi è in cassa integrazione, ma è evidente che la situazione sta cambiando ».
Ci sono anche 22 mila posti in meno fra il mese di giugno e quello di maggio.
«Ventiduemila su oltre 22 milioni rappresentano una quota di cui tenere conto, ma non corposa. Il tasso di occupazione, come dice l’Istat, è sostanzialmente invariato. Ripeto: stiamo attraversando un periodo di fluttuazioni. Ad aprile, per esempio, i dati ci dicevano che abbiamo avuto 160 mila occupati in più».
Quando scenderemo dall’ottovolante?
«Tutti gli osservatori concordano nel prevedere che alla fine del 2015 avremo tra 100 e 150 mila nuovi posti di lavoro. E vorrei sottolineare che si tratterà anche di lavoro di qualità più alta: contratti stabili, invece di rapporti precari, che sicuramente daranno anche un impulso ai consumi».
Il Fondo monetario dice che di questo passo l’Italia tornerà ai livelli di occupazione pre-crisi fra venti anni. Non crede che qui ci voglia un piano straordinario?
«Mi pare azzardato fare previsioni a vent’anni. Il Fondo, comunque, non tiene conto delle riforme già fatte. E io non credo nei piani straordinari: servono azioni stabili di lungo periodo. Il governo sta già mettendo in atto progetti ampi: gli interventi pubblici sulla banda larga, sulla riqualificazione ambientale e scolastica, sull’innovazione e i brevetti rilanceranno l’economia e l’occupazione».
Non crede ad un progetto d’emergenza nemmeno per il Sud o per gli under 30? Garanzia giovani non ha prodotto molti risultati.
«Garanzia giovani è stato inventato dal nulla in tre mesi e sta migliorando l’occupabilità, questo è il suo obiettivo. La disoccupazione giovanile è senza dubbio il problema numero uno, ma per sconfiggerla vanno costruiti contesti e metodi stabili. Per esempio: bisogna spingere alla digitalizzazione le imprese medio piccole. Secondo un sondaggio, il 40 %fra loro non è minimamente interessata al digitale. Ma così non avranno futuro, né creeranno occupazione. Per questo, con Unioncamere e Google abbiamo firmato un accordo per dare competenze digitali ai giovani e inviarli come tutor nelle aziende più piccole».
E per il Sud?
«Serve un grande sforzo e scelte politiche che cambino il contesto: vanno risolti i problemi istituzionali e create infrastrutture per le imprese. Ma ci sono pure eccellenze da valorizzare perché sia chiaro, come anche per il rilancio dell’occupazione, servono anche investimenti privati».
Ecco i privati. Quali sono state le colpe delle aziende nel perdurare della crisi?
«Non parlerei di colpe, ma chi ha pensato di riacquistare competitività a colpi di lavoro precario a basso costo ha sbagliato strada. Se le imprese vogliono farcela, devono investire in conoscenza; invece abbiamo il tasso di laureati presenti in azienda tra i più bassi d’Europa ».
Visto che di nuovo lavoro al momento ce n’è poco, i sindacati chiedono di ridurre gli orari e favorire la staffetta generazionale. È d’accordo?
«E’ indubbio che il ricambio tra generazioni va favorito. La riforma Fornero, che certo non è l’unica causa della disoccupazione giovanile, ha comunque bloccato il turnover. Per questo vanno studiate ed introdotte forme di flessibilità in uscita, anche con la compartecipazione delle imprese»
Repubblica – 1 agosto 2015