L’allarme arriva dalla Francia: troppe vipere sui sentieri battuti dagli escursionisti sulle Alpi, in Provenza e in Costa Azzurra. Ma si estende anche alle vicine Liguria e Piemonte e ad altre regioni lungo l’arco alpino come il Veneto. Casi di avvistamenti di vipere sono stati protagonisti delle cronache perfino nella Capitale: a metà aprile, a Roma, tre cani sono stati morsi nella zona di La Storta.
Da Nord a Sud il ritorno delle vipere impone a chiunque si avventuri in luoghi incolti di prestare la massima attenzione. A Vilminore (Bergamo) un bimbo di 5 anni è stato morso a fine aprile mentre faceva un picnic con i genitori: per salvarlo è intervenuto l’elisoccorso. L’ultimo caso grave in Italia risale al 2016: in provincia di Taranto, un uomo morso a una mano è finito in prognosi riservata. Invece a Livorno un 75enne morso al volto il 16 maggio scorso mentre puliva il giardino è stato dimesso dopo poche ore: niente siero antivipera (era allergico), lo hanno curato con cortisonici e antistaminici. Genitori in allarme, invece, a Vittorio Veneto, dove le vipere si sarebbero spinte in città, negli orti e nel cortile di una ex scuola elementare: giorni fa sono stati trovati alcuni piccoli di Aspide, segno che i serpenti nidificano ormai tra le case.
In Italia vivono cinque tipi di vipere, che sono specie protette: l’Aspide, la più diffusa dalle Alpi alla Sicilia; la Berus, o Marasso, piuttosto aggressiva; la vipera dal Corno, il cui veleno è il più pericoloso; la Ursinii, meno velenosa, diffusa sul Gran Sasso; e la vipera Walser, da poco scoperta nelle Valli a sud del Monte Rosa. Il loro morso è mortale solo in rari casi (non si registrano decessi da anni), perché se mordono, non sempre inoculano tanto veleno, specie se hanno da poco colpito un altro animale. «Anzi, a volte non lo inoculano affatto (è il “morso secco”) — spiega Edoardo Razzetti, biologo e curatore del Museo di storia naturale di Pavia — perché il veleno è prezioso, non lo sciupano». E soltanto il 20% dei casi di avvelenamento in Italia necessita di essere trattato con il siero.
Quanto al boom di avvistamenti, «non ci sono dati precisi su un eventuale aumento di vipere in Italia quest’anno», anche se è indubbio che l’abbandono dei boschi, l’aumento delle aree incolte in campagna e la diminuzione dei predatori come i falchi, ne abbiano favorito il moltiplicarsi.
La situazione di pericolo segnalata dalle autorità della regione Provence-Alpes-Côte d’Azur (Paca) e rilanciata dalle prime pagine dei quotidiani Nice-Matin e FranceSoir riguarda la diffusione della Vipera aspis e ha creato dunque preoccupazione anche nell’Imperiese, dove si sarebbero verificati numerosi incontri ravvicinati con vipere. In Francia si moltiplicano episodi di escursionisti morsi dai rettili, tornati numerosi sui sentieri anche a causa del gran caldo. Ma il problema, Oltralpe, è un altro: scarseggia l’antidoto, il Viperfav. E seppur ormai il siero antivipera sia un prodotto somministrato solo in casi di grave avvelenamento e sotto controllo medico (l’Italia ne importa 4 tipi, disponibili solo in ospedale), ha suscitato clamore la notizia che la Francia avrebbe esaurito le scorte: avendo aggiornato il protocollo, la Sanofi ha interrotto la produzione dell’antidoto. Sarà disponibile solo nel 2019.
«In realtà è un problema che in Italia non si pone: non c’è rischio di carenza di siero — spiega Davide Lonati, responsabile del Centro nazionale antiveleni a Pavia —: sul nostro sito gli ospedali trovano sempre lo stato delle scorte e dove reperirle». E una rete di banche dati europea (in Italia, Svizzera e Germania) ne assicura la distribuzione nell’Ue.
Luca Zanini – Il Corriere della Sera – 30 maggio 2017