di Mario Sensini. Una decontribuzione del 50% per i primi due o tre anni per tutti i giovani neoassunti a tempo indeterminato, «poi una riduzione dell’aliquota contributiva di quattro punti, dal 33 al 29%, due a favore del lavoratore, due per le imprese, e per sempre». Il cantiere della manovra di bilancio del 2018 sta per aprirsi e il vice ministro dell’Economia, Enrico Morando, lancia la sua proposta. Legare il supersconto sull’assunzione dei giovani, a un regime contributivo più leggero per il futuro.
«Sarebbe il completamento naturale del Jobs act e del piano avviato dal governo Renzi per la riduzione della pressione fiscale su imprese e lavoratori, con il taglio dell’Irap, dell’Ires e gli 80 euro per i lavoratori dipendenti».
Una misura del genere non costa poco…
«Considerata anche la decontribuzione iniziale al 50%, dopo quattro anni il costo complessivo sarebbe di oltre 4 miliardi. E salirebbe con l’ampliamento della platea dei lavoratori cui si applica la nuova aliquota. Ma aiuterebbe le imprese, porterebbe più soldi in tasca ai lavoratori, e ridurrebbe il cuneo fiscale in pochi anni a livello di quello tedesco. La prospettiva di un lavoro più stabile è indispensabile anche per garantire ai giovani domani una pensione».
Il nuovo regime sarebbe applicabile ai giovani fino a 29 anni?
«Forse anche più. Ragioniamo in una forchetta 29-32 anni. Decideremo in funzione delle risorse disponibili, ma ancora non sappiamo quante saranno».
L’economia cresce più del previsto, ci sono più margini nella prossima manovra?
«Il prodotto interno lordo è superiore alle attese. Abbiamo acquisito per il 2017 già una crescita dell’1,2%, mentre le nostre previsioni ufficiali sono ancora ferme all’1,1%».
Una crescita dell’1,5% è realistica?
«Non è impossibile. Ma soprattutto sarà determinante la velocità di ingresso nel 2018. Quella può incidere sulle dimensioni della manovra».
L’inflazione però resta troppo bassa e non vi aiuta…
«Certo, l’inflazione ancora gioca in senso sfavorevole. Il Pil reale cresce, ma quello che conta è la crescita nominale, che tiene conto dell’inflazione. Anche se con il forte flusso turistico che abbiamo avuto e la ripresa in atto non escludo che per fine anno possano muoversi un po’ anche i prezzi».
La ripresa si sta davvero consolidando?
«Ora la crescita non è, come in passato, trainata dalle esportazioni. Anzi, la componente esterna ha dato un contributo leggermente negativo. Stavolta la domanda è sostenuta dalla componente nazionale. E questo è merito anche degli sgravi fiscali alle imprese, con il super e l’iper ammortamento, e degli 80 euro in busta paga, checché se ne dica».
Questa settimana riparte il confronto coi sindacati, contrari al nuovo aumento dell’età pensionabile dovuto all’adeguamento delle speranze di vita. Si può evitare?
«A mio avviso sarebbe un grave errore politico, oltre ad avere conseguenze economiche negative. Abbiamo appena introdotto Ape sociale e Ape volontaria. Se ci sono da fare integrazioni sulle categorie dei lavoratori usuranti parliamone, è giustissimo. Ma mettere in discussione il meccanismo di adeguamento alle speranze di vita, che peraltro crescono più lentamente del previsto, significa scassare il sistema. Il contributivo si regge su calcoli attuariali, sennò non lo è».
Torniamo alla manovra. Quanti soldi servono?
«Solo per eliminare l’Iva 13-14 miliardi. Poi c’è da fare la correzione strutturale promessa alla Ue, e sono sicuro che basteranno 5-6 miliardi, perché a Bruxelles l’aria, anche grazie a Renzi, è cambiata. Poi c’è la parte discrezionale: le risorse non sono molte e vanno concentrate per la gran parte sui giovani. Ma i veri numeri li sapremo a ottobre, quando avremo chiari i dati sulla crescita e l’inflazione».
Il Corriere della Sera – 28 agosto 2017