di Filippo Tosatto. Si sgretola, definitivamente, il teorema accusatorio a carico dei secessionisti veneti e lombardi che il 2 aprile scorso finirono in carcere per reati di terrorismo ed eversione.
La Corte di Cassazione ha respinto il ricorso del pm della Procura di Brescia Leonardo Lesti contro le scarcerazioni decretate all’indomani della retata dal tribunale del Riesame; quest’ultimo, revocando gran parte dei 27 arresti, aveva ritenuto «inconsistenti» le prove raccolte dai carabinieri del Ros: ora la quinta sezione penale della Suprema Corte, rigettando come «inammissibile» l’istanza della pubblica accusa, ha accolto le richieste dei difensori (gli avvocati Renzo Fogliata, Alessio Morosin, Luigi Fadalti) apponendo de facto la parola fine all’inchiesta che tanto clamore aveva sollevato. Sotto accusa era finita l’«Alleanza» costituita da un gruppo di 51 indipendentisti fautori della rinascita della Repubblica Serenissima e dello strappo dall’Italia. Disegno politico o complotto criminoso? La Procura bresciana ha sposato la seconda opzione, formulando capi d’accusa pesanti: dall’associazione con finalità di terrorismo ed eversione dell’ordine democratico, alla fabbricazione e detenzione di armi da guerra, incluso un tanko di fattura artigianale, sull’esempio del mezzo impiegato dal commando che occupò il campanile di San Marco. Tra gli arrestati – trattenuti in isolamento – il fondatore della Liga veneta Franco Rocchetta, i «serenissimi» reduci del blitz marciano del 9 maggio 1987 Luigi Contin e Massimo Luigi Faccia, il leader del movimento dei forconi Lucio Chiavegato, l’ex parlamentare leghista Roberto Bernardelli. Accusati, a vario titolo, di aver architettato un piano che prevedeva il ricorso alla violenza contro lo Stato, contattando trafficanti d’armi albanesi e coinvolgendo nell’iniziativa eversiva i focolai indipendentisti di varie regioni italiane. Una tesi accolta con scetticismo, fin dall’inizio, da più parti, inclusi gli schieramenti politici veneti più lontani dal secessionismo. Una tesi che non ha retto al riesame, con i giudici inesorabili nel contestare l’assenza di elementi concreti a sostegno dell’imputazione di terrorismo: nessuna traccia di armi (a parte un fucile da caccia regolarmente denunciato), natura sostanzialmente inoffensiva del tanko ricavato da una ruspa (sul cannoncino da 12 mm rinvenuto è in corso però una perizia), assenza di reali propositi violenti o aggressivi nelle lunghe intercettazioni effettuate dal Ros. C’è poi la questione della competenza territoriale, che la Cassazione sottrae, definitivamente, a Brescia; già il Riesame dispose la trasmissione degli atti a Padova, perché il fatidico giuramento costitutivo dell’Alleanza ebbe luogo a Casale di Scodosia; una svista tecnica: nell’ambito della riforma delle circoscrizioni giudiziarie, il piccolo centro padovano oggi ricade nell’orbita del tribunale di Rovigo e sarà quest’ultimo, d’ora in poi, ad avere la competenza esclusiva sulla vicenda. Meglio, sul suo epilogo.
Il Mattino di Padova – 19 luglio 2014