
«Io, denunciato ingiustamente ora ho paura a fare il medico». L’urologo: so di non aver sbagliato nulla, anche questa è malasanità
Lettera ad Aldo Cazzullo, dal Corriere della Sera
Caro Aldo,
colgo il suo invito a esprimere malesseri, opinioni, riflessioni, in particolare sui casi di malasanità. Sono un medico di 57 anni, laureato da 32 e specializzato (urologia) da 27 anni. Ho sempre creduto nella sanità pubblica, il mio lavoro si svolge esclusivamente in ospedale da 30 anni, a Roma, e continuo a credere che il nostro compito sia assistere, curare e, laddove possibile, salvare la vita dei pazienti. Il che rappresenta la massima aspirazione e soddisfazione che un operatore della sanità possa ottenere. Non ci sono gratificazioni economiche o professionali che possano paragonarsi al salvare la vita di un altro essere umano.
La consapevolezza di aver fatto il proprio dovere, di averlo fatto bene e di aver ottenuto il risultato sperato, dà un senso a tutte le difficoltà che ci troviamo ad affrontare.
Il problema di cui le vorrei parlare è che non sempre le terapie vanno a buon fine, non sempre si riesce a salvare il paziente. È sempre stato così e sempre così sarà, purtroppo: qualsiasi atto chirurgico ha insito un tasso di complicanze inevitabili e imprevedibili che giorno dopo giorno stiamo cercando, con controlli incrociati, check-list, risk management, di ridurre. Ma esisteranno sempre. Non a caso in chirurgia vige il detto: «L’unico intervento senza complicanze è quello non fatto».
Le posso assicurare, caro Aldo, che in caso di complicanza anche l’operatore sta molto male: la consapevolezza di avere, anche se involontariamente, arrecato un danno ad un paziente già afflitto da problemi è molto dolorosa. Quante notti ho passato sveglio a ripetere centinaia di volte la manovra che ha provocato la complicanza, quante ore a ripassare mentalmente la procedura e a pensare «Se avessi fatto così forse non sarebbe successo».
Il nostro lavoro ad oggi prevede dei protocolli ben definiti, le linee guida, che delimitano la good practice. Il problema è che cercare di fare il lavoro al meglio delle proprie possibilità, seguire le linee guida e adottare procedure in esse previste, non sempre ci mette al riparo da contenziosi, litigi, fino ad arrivare a denunce civili e/o penali. La maggior parte dei medici è sottoposto a procedimenti giudiziari, è noto a tutti. Io sono incappato nella mia prima denuncia 3 mesi fa, a 57 anni. Omicidio colposo!
Sono entrato in sala operatoria per operare una paziente che proveniva dal pronto soccorso, in condizioni critiche. Ho cercato di salvarla, operando all’interno delle linee guida e quindi della good clinical practice, ma non ci sono riuscito. E per questo sono sottoposto a procedimento penale. Ecco, anche questa secondo me è malasanità.
Quando racconto ai miei amici e conoscenti questa esperienza, la risposta è, inevitabilmente: «Ma cosa vuoi che sia, oramai tutti i medici sono sotto processo, tanto finisce in un nulla di fatto». Ma ciò che si trascura è l’impatto destruente dell’azione legale sull’uomo e sul medico. Sono assolutamente convinto di non aver sbagliato nulla in quella procedura, di aver fatto quello che era corretto fare; nonostante ciò, sono sotto processo. Da allora — e sono sicuro che vale anche per tutti i colleghi — ogni volta che inizio a operare mi domando: «Ma se sono stato denunciato per omicidio colposo senza che io abbia colpe, potrebbe capitarmi ad ogni intervento?». La risposta purtroppo è sì.
A seguito di ciò sono cambiato, sono guardingo, sospettoso, in un certo qual modo timoroso. E questo atteggiamento mal si concilia con la chirurgia, ancor più con quella di emergenza in cui ci si trova spesso a prendere decisioni in solitario e in brevissimo tempo. In poche parole, lavoro male. Non sono più tranquillo.
E in questa trafila sono solo. Stavo lavorando per l’ospedale, per una paziente che non avevo mai visto ma la denuncia è personale a me. Penso che sia una situazione unica, che non ha eguali in altri settori. Le ricadute sull’assistenza ai malati di tutto ciò sono enormi. Medicina difensiva, esami richiesti inutilmente, interventi che nessuno vuole più eseguire… Scusi lo sfogo, ma penso che evidenziare anche il rovescio della medaglia qualche volta sia utile.
Luca Wongher
2 luglio 2017