L’Ismea ha elaborato un Rapporto sulla domanda e offerta dei prodotti alimentari nell’emergenza Covid monitorando l’impatto sul settore agroalimentare dall’inizio della pandemia Covid-19 e secondo le prospettive per l’economia italiana di dicembre, l’Istat prevede una marcata contrazione del Pil nel 2020 (-8,8%) ed una ripresa parziale nel 2021 (+4,0%).
Riguardo l’agricoltura, secondo le anticipazioni dell’Istat sul 2020, il settore avrebbe chiuso l’anno con una flessione in termini reali del 3,3% del valore della produzione e del 6,1% del valore aggiunto. L’andamento meteorologico non è stato clemente per buona parte delle produzioni vegetali, determinando un calo produttivo soprattutto per olio e ortofrutta; la zootecnia, invece, ha tenuto meglio dal lato delle produzioni lattiero-casearie, delle uova e del miele, mentre ha subito flessioni dal lato delle carni.
La spesa per consumi domestici di prodotti alimentari è una delle poche variabili sulle quali l’emergenza Covid ha avuto un impatto positivo. La tendenza di crescita evidenziata nel 2020 è di gran lunga la più ampia dell’ultimo decennio (+7,4%), raggiungendo il suo culmine a marzo, quando le vendite hanno registrato picchi del +20%. Con il trascorrere delle settimane, poi, la ritrovata fiducia nella capacità del sistema agroalimentare di garantire gli approvvigionamenti quotidiani ha progressivamente at-tenuato il tasso di crescita degli acquisti.
Di seguito vedremo, in sintesi, i dati emersi dal report per le singole filiere, ma prima vediamo l’andamento dei prezzi all’origine dei principali prodotti agricoli nazionali, il 2020 chiude con una riduzione dell’indice Ismea del 2,7%: a spingere i prezzi al ribasso sono il paniere dei prodotti zootecnici (-6%) ovvero i capi da macello ed i prodotti lattiero caseari, si differenziano da questa dinamica solo i prezzi dei formaggi molli e semiduri, aumentati rispetto al 2019.
Filiera lattiero-casearia
Effetti negativi per il mercato dei prodotti lattiero-caseari, soprattutto nella prima parte del 2020 in corrispondenza del primo lockdown e della conseguente chiusura del canale Horeca. Il livello minimo è stato toccato nel mese di giugno, quando gli scostamenti rispetto al 2019, hanno superato il -31% per il Parmigiano Reggiano e il -23% per il Grana Padano. La risposta del mercato è stata negativa anche per i prezzi della materia prima, poiché la maggiore disponibilità (dovuta alla minore domanda dei caseifici ed al rallentamento della trasformazione anche per la riduzione del numero dei lavoratori) ha determinato il crollo delle quotazioni del latte spot, arrivate a toccare i 30 euro/100 kg nel mese di aprile, con un distacco di quasi 10 euro rispetto all’inizio dell’anno. La flessione dei prezzi dei formaggi ha impattato anche sulle performance all’estero, dopo un susseguirsi di valori record per il Made in Italy caseario. Nonostante un risultato comunque positivo sul fronte dei volumi (+0,8% nel confronto con i primi dieci mesi del 2019), le esportazioni hanno subìto una contrazione del 4% in valore, imputabile principalmente a Grana Padano e Parmigiano Reggiano (-8,4% in valore) e al crollo delle vendite negli Stati Uniti (-25,1% in valore) e in Giappone (-15,5% in valore).
La spesa delle famiglie italiane per i prodotti lattiero caseari è complessivamente aumentata del 7,5% nel 2020 (con picchi che hanno superato il +20% all’esordio dell’emer-genza sanitaria) soprattutto grazie all’incremento degli acquisti di for-maggi (+9,7%) e di latte UHT (+8,7%). L’emergenza ha accentuato, invece, le criticità del latte fresco che non solo ha visto ridotta la domanda di bar, pasticcerie e ristorazione in genere, ma ha anche subito un ulteriore taglio dei consumi domestici (-5,0%), penalizzato verosimilmente dalla ridotta shelf life in una fase in cui i consumatori sono stati maggiormente inclini ai prodotti “da scorta”.
Le prospettive per il 2021 appaiono quanto mai incerte e gli operatori nazionali sono pessimisti, soprattutto per il segmento del latte e dei formaggi freschi.
Filiera carne bovina
La crisi sanitaria con le sue implicazioni ha impattato in maniera evidente sul mercato delle carni bovine, ma si può dichiarare che la filiera ha reagito bene e forse i danni sono meno pesanti di quelli che si prevedevano ad inizio crisi. In sintesi, dalle stime sul bilancio di approvvigionamento dei primi 10 mesi del 2020, emerge che, in ambito nazionale è circolato il 6,7% in meno di carne bovina. Alla flessione delle macellazioni stimabile tra il 4 e il 5% in volume, si è infatti aggiunta una riduzione dell’8,7% circa delle importazioni,per un volume complessivo di circa 70mila tonnellate di carne bovina in meno, sostanzialmente ascrivibili alla parziale chiusura del canale Horeca. Di contro i consumi domestici delle carni bovine sono aumentati del 6% in volume, incremento comunque non sufficiente a compensare le perdite accumulate dai canali Horeca. Se tali tendenze verranno confermate dai dati di fine anno, per il segmento delle carni fresche si potrà apprezzare un lieve miglioramento del tasso di autoapprovvigionamento (+1,3%).
Preoccupazione per l’aumento dei prezzi delle materie prime per l’alimentazione, sia per i proteici (farine di soia, colza e girasole), sia per i cereali (Grano e Mais) le quotazioni sono fortemente aumentate nella fase finale del 2020. Questo continuo, forte rialzo dei prezzi delle materie prime agricole rappresenta un campanello di allarme non solo per i rischi di approvvigionamento che possono riguardare un Paese come il nostro, fortemente dipendente dai mercati esteri per il proprio fabbisogno, ma può appesantire ancor più la già difficile situazione competitiva della zootecnia nazionale.
Filiera ovino da carne e da latte
L’export di Pecorino Romano in forte calo, a causa del Covid, ma il mercato resta in equilibrio grazie alle misure straordinarie di interventocome il “Decreto emergenze” sia a livello regionale in Sardegna, e dall’aiuto all’ammasso privato dei formaggi introdotto in via straordinaria dalla Commissione UE con il Reg. delegato n. 2020/591. I prezzi del Pecorino Romano sono risultati stabili nel corso del 2020 assestandosi su un livello medio di 7,7 euro/kg. Con la chiusura del canale Horeca, che ha colpito soprattutto i prodotti freschi ovini, i caseifici hanno dirottato molto più latte verso i formaggi stagionati. Tale equilibrio ha sostenuto anche la remunerazione alla stalla in tutti i principali areali produttivi e, in particolare, in Sardegna sono stati raggiunti gli 82 cent/litro per le consegne di latte ovino del mese di dicembre. Gli allevatori mostrano, tuttavia, grande preoccupazione a causa dei rialzi che si stanno verificando per i prezzi delle materie prime (soia, orzo, e mais) e che, nei prossimi mesi, potrebbero avere notevoli ripercussioni sulla redditività aziendale.
Il lockdown ha annullato l’effetto della Pasqua sui listini degli agnelli vista la chiusura dei ristoranti con conseguente annullamento della domanda, infatti nei mesi di marzo e aprile le macellazioni sono calate del 24%, generando un surplus di prodotto e un tracollo dei listini per gli agnelli (-16% rispetto alla Pasqua 2019). Al fine di sostenere il comparto la Commissione europea ha introdotto a fine aprile un regime eccezionale e temporaneo di ammasso per le carni ovine e caprine (Regolamento (UE) n. 2020/595), cui si sono aggiunte le risorse nazionali del Decreto competitività che ha previsto il pagamento ag-giuntivo di 9 euro/capo per gli agnelli macellati nei mesi di marzo e aprile 2020. Ciò ha contribuito a stabilizzare il mercato e facilitarne la ripresa negli ultimi tre mesi dell’anno, in corrispondenza del secondo picco stagionale. Gli scambi degli agnelli si sono intensificati in netto anticipo rispetto alle festività natalizie, anche perché molti importatori non hanno sottoscritto contratti con l’estero sia per la situazione di incertezza dovuta all’emergenza Covid sia per i prezzi più alti praticati dai tradizionali Paesi fornitori (Ungheriae Romania). Sulla base dei dati riferiti ai primi dieci mesi del 2020 risulta, infatti, un forte calo delle importazioni sia di capi vivi (-39%) sia di carni ovicaprine fresche e congelate (-22%).