Il Pil italiano è sceso anche nel terzo trimestre del 2014: per l’esattezza, come comunica l’Istat, il prodotto interno lordo corretto per gli effetti di calendario e destagionalizzato, è diminuito dello 0,1% rispetto al periodo compreso tra aprile e giugno 2014 e dello 0,4% nei confronti del terzo trimestre del 2013.
Dopo 13 trimestri consecutivi di mancata crescita, cioè con una variazione del Pil negativa o pari a zero, l’economia italiana è dunque tornata «ai livelli del 2000», come hanno precisato i tecnici dell’Istituto diretto da Giorgio Alleva.
Il Pil a -0,1 era largamente atteso, dicono fonti di Palazzo Chigi. Il che ovviamente non consola ma neanche preoccupa. Esiste un problema crescita in Italia, ma ormai il tema riguarda tutta Europa. Ecco perché, sottolinea Renzi arrivando in Australia, «unica strada oggi è tornare a discutere di crescita non solo di rigore». E in questo senso l’agenda del G20 va nella linea sostenuta dall’Italia: non a caso il primo incontro di Renzi sarà con il premier australiano, padrone di casa, Abbott, poi con il “sindaco” premier indonesiano Widodo, poi Putin e Dilma Rousseff. Quanto alla questione Ue che Italia abbia un debito alto non è una novità – si fa notare da Palazzo Chigi – che il rapporto debito/Pil cresca con la crescita negativa è una banalità matematica. Dalla Commissione ci attendiamo – dicono le fonti governative – uno sforzo per rilanciare sugli investimenti.
Nei primi due periodi di quest’anno la dinamica del Pil trimestrale era stata, rispettivamente, zero e -0,2 per cento. Quella di ieri è soltanto una stima flash, dunque manca la descrizione di cosa sia accaduto realmente nei vari settori dell’economia italiana, però l’Istat spiega che il calo congiunturale è la sintesi di una diminuzione del valore aggiunto nel settore dell’agricoltura e in quello dell’industria e di un aumento nei servizi.
Dal lato della domanda, afferma l’Istat, vi è un contributo negativo della componente nazionale (al lordo delle scorte), parzialmente compensato dall’andamento positivo della componente estera netta. In altre parole, l’export ha garantito la tenuta dell’attività produttiva mentre continuano a non andare bene soprattutto gli investimenti e probabilmente anche i consumi interni. Va detto, tuttavia, che il dato italiano di ieri sembra essere perfino lievemente superiore alle attese: gli economisti si aspettavano infatti un’attività produttiva in flessione dello 0,3% per i mesi compresi fra luglio e settembre, dopo i dati della produzione industriale (-1,1 per cento trimestrale, dopo il -0,5% del secondo quarto dell’anno). A questo punto, se nell’ultimo scorcio dell’anno la crescita fosse pari a zero risulterebbe confermata la stima di crescita contenuta nel Def ovvero meno 0,3%, cioè la cifra che ha convinto il governo italiano a procrastinare di un anno il conseguimento dell’obiettivo del pareggio strutturale di bilancio.
Non consola sapere, peraltro, che le cose non vanno molto meglio per l’intera Eurozona. Questa, in ogni caso, nel suo insieme continua a fregiarsi di un segno positivo davanti al numero che indica la crescita del prodotto: l’attività produttiva infatti è aumentata dello 0,2% nell’intera Eurolandia e del 0,3% nell’Unione europea a 28 Paesi (si veda la pagina a fianco).
Secondo l’economista Sergio De Nardis, capo economista del centro studi bolognese Nomisma, è sempre l’insufficienza della domanda interna che continua a pesare sull’economia italiana. Ma, mentre nel periodo tra il 2011 e il 2013, erano sia i consumi che gli investimenti a flettere «nel 2014 – sottolinea De Nardis – sono soprattutto gli investimenti a rimanere in territorio negativo».
Del resto, anche l’ultimo report della Banca d’Italia sulla stabilità finanziaria sottolineava che quando l’inflazione si abbassa molto, come sta accadendo attualmente in tutta l’Eurozona, la conseguenza è un inasprimento di fatto delle condizioni monetarie, con conseguenti effetti negativi su consumi e investimenti. Molto preoccupato anche il giudizio dell’ufficio studi della Confcommercio: «L’unica via di uscita – osservano gli esperti – è quella di avviare politiche di stimolo ai consumi e agli investimenti più incisive di quelle attuate sino ad ora. Altrimenti – conclude la nota – dovremo arrenderci al fatto che la recessione, o la stagnazione, possano diventare una costante per la nostra economia».
Il Sole 24 Ore – 15 novembre 2014