Ma guarda a volte i simboli, che scherzi! Questa storia, per esempio, delle mandorlette della buvette di Montecitorio: lesinate agli onorevoli perché troppo costose, ma anche assurte a ennesimo emblema dello scrocco parlamentare dato che i deputati se ne approfittavano pretendendole in gran quantità anche con un bicchier d’acqua e limone, ecco, è finita la pacchia, sono aumentati i prezzi del caffè (da 0,80 a 0,90), delle brioches (da 0,60 a 0,75), degli aperitivi (da 4 a 4,50), ma soprattutto niente più mandorlette.
Per cui, tornando ai simboli nelle loro varie e immemori declinazioni cinesi ebraiche e sanscrite, sarà bene sapere che il frutto del mandorlo rappresenta l’Essenziale Nascosto, la Qualità Assoluta e Inviolabile, il Segreto dell’Illuminazione, luce celeste ed emanazione dei Soggiorni dei Beati – che rispetto ai privilegi della casta, come si riconoscerà, suona parecchio più impegnativo.
E per quanto si potrà ragionevolmente sostenere che queste benedette mandorlette non differiscono in nulla da quelle in commercio, una specialissima suggestione di potere le fa diverse e migliori; come del resto è per sua natura migliore, anzi è il meglio del meglio, tutto ciò che da sempre compare e viene voluttuosamente consumato su quei banconi. Per questo la mandorletta ridotta o negata agli onorevoli si configura come un colpo terribile per la buvette di Montecitorio, cuore del Palazzo, ombelico del sistema, palcoscenico neo-liberty di potenti alla ricerca di chiacchiere, contatti e sontuoso ristoro.
In verità l’architetto Basile l’aveva progettata più spartana. L’attuale principesca architettura è frutto di un risanamento resosi necessario negli anni 60 per arginare le quasi quotidiane incursioni di topi e scarafaggi – «una battaglia vinta, ma una guerra perduta» il lapidario e poco rassicurante commento di un alto funzionario della Camera, Mario Pacelli, nel suo « Bella gente » (1992).
Tutta l’Italia che conta ha varcato quella fatidica porta. La leggenda tramanda che all’inizio della Prima Repubblica latte, caffè e biscotti furono brevissimamente gratuiti, almeno fino a quando un esponente clerico- fascista con famiglia numerosa fu sorpreso a fare incetta di biscotti, appunto, deponendoli in un capiente borsone. In tempi più recenti, all’ora della chiusura si presentava al banco, sia pure senza borsa, un ex generale in odore di golpismo ghiotto di tramezzini. Ma sempre in argomento sarebbe ingiusto tralasciare la figura del palpeggiatore seriale di supplì, un giornalista di cui tuttavia restò ignoto se li preferisse duri o mosci.
Nel 1991 un’indagine della Arthur Andersen valutò, perfezionandola, la qualità dell’ambiente e del servizio. L’anno seguente, durante le elezioni del Quirinale, alcuni neo eletti si meravigliarono dell’assenza di gelati e porchetta; ma l’epopea dello sbafo ancora celebra un simpatico deputato democristiano napoletano che pesava 136 chili accusato di aver mangiato in solo giorno 25 panini, 5 crocchette di patate più tre litri di acqua minerale senza pagarli. Per questo il verde Apuzzo gli regalò un sacchetto di ghiande; in cambio l’onorevole Alterio lo propose come «capo cassiere politico».
Mai come nella buvette il cibo si è fatto motivo di polemica. Nel 1961 i dc posero la questione della carne e dei salumi il venerdì, pure accusando alcuni laici di consumarli con «beffarda ostentazione». L’impiccio fu risolto con una dispensa dottrinale prevista per i fedeli in viaggio ( in itinere). Non è detto, dopo 50 anni, che prima o poi i cinquestelle non pongano la faccenda in termini vegani. Ma controversie si registrarono da parte del Msi sulle mele marchiate «Sud Tirol» e dalla Lega sul burro francese.
Qui il radicale Cicciomessere ebbe una birra in faccia da Pajetta; e qui il berlusconiano Cosentino ebbe un bacio in bocca da Alessandra Mussolini, ma senza lingua. Sempre qui, per la gioia dei più eccentrici osservatori, si celebrò non molto tempo fa un rendez- vous fra Pippo Franco e Scilipoti.
Una prima stretta anti-scrocco con aumento dei prezzi (scandalosi) nel 2006. Nel 2014, per un guasto, la buvette si allagò: un presagio, forse. Nell’agosto scorso, dura realtà contabile, venne fuori che ben 34 ex deputati distratti si erano dimenticati di saldare il conto. Il debito complessivo era di 20mila euro, mandorlette escluse.
Repubblica – 8 marzo 2016